In alcuni casi il giornalismo è l’unica attività umana che consente di venire a conoscenza di fatti critici del mondo in cui viviamo. Senza scomodare eroi come Julian Assange o Edward Snowden, o martiri come Anna Politovskaja o Ilaria Alpi, ci sono miriadi di casi in cui è grazie alla tenacia o all’acume di colleghi che siamo venuti a conoscenza di grandi corruzioni pubbliche o di situazioni sociali scomode o vergognose dal punto di vista morale ed umano.
Talvolta una di queste situazioni si trasforma da inchiesta giornalistica in un film che ne moltiplica per cento l’efficacia diffusiva. E’ il caso delle eccellenti opere di denuncia del britannico Ken Loach.
Altre volte, tuttavia, il meritevole intento di denuncia viene sopraffatto dall’individualismo dello stesso autore dell’inchiesta.
E’ quello che a mio parere accade con Tra due mondi, il film scritto e diretto da Emmanuel Carrère ma tratto da un libro inchiesta di Florence Aubenas, una nota giornalista francese.
La storia vorrebbe raccontare la miseria, lo sfruttamento, le condizioni di vita e di lavoro di un gruppo di donne delle pulizie umiliate soprattutto quando sono chiamate a lavorare a bordo dei traghetti che fanno la spola con la Gran Bretagna. Si viene a sapere così che hanno a disposizione appena quattro minuti per ogni cabina da rifare e che le cabine sono 230 e che le braccia alla fine ti tremano e non si fermano più dal tremare.
Si apprende delle piccole grandi angherie dei caporali, dei salari da fame (7,69 euro l’ora netti), della burocrazia che rema contro l’umanità.
Purtroppo tutte queste informazioni nel film appaiono solo un corollario alla meritoria opera di svelamento della cruda realtà da parte della giornalista infiltrata tra le donne delle pulizie (Juliette Binoche) la quale rimane sempre al centro dell’attenzione, della storia, mettendo in ombra qualunque altra personalità della storia (e ce ne sarebbero di interessanti da approfondire).
E’ come se il film abbia come fine principale quello di celebrare il valore della brava giornalista che ha scoperto una penosa situazione sociale da sfruttare per i propri libri e per la propria carriera invece che una autentica denuncia di uno stato di cose deplorevole.
Per fare un esempio di casa nostra, forse qualcuno ricorderà quando il giornalista della Rai Paolo Frajese anni fa si travestì da clochard per vedere come vivevano questi reietti della società. Ebbene, il racconto di questa iniziativa a mio parere non si concentrò sulla reale vita dei clochard ma su quanto era stato bravo il giornalista a realizzare quel reportage.
Oltretutto – e mi dispiace sommamente per Carrère, che apprezzo moltissimo come scrittore – in Tra due mondi ho trovato una regia piatta, spesso noiosa e ripetitiva nelle situazioni rappresentate, senza un vero mordente che faccia fremere lo spettatore davanti alle ingiustizie rappresentate. Tutto il racconto è molto attutito, sterilizzato, concentrato sulla bravura interpretativa della Binoche. Il risultato è alzarsi dopo un’ora e quaranta pensando ‘chissà che bella storia ne avrebbe tirato fuori Ken Loach’.