La guerra in Ucraina ha riproposto un tema cruciale: quello della resilienza (giusto per usare un termine di gran moda) della nostra Suprema Carta; più precisamente, dei suoi principii inviolabili enunciati dall’art. 1 all’art. 12 e dei suoi diritti fondamentali, declinati dall’art. 13 all’art. 54. Il quesito è sempre lo stesso, anche se mutano le circostanze esterne, e potrebbe essere sintetizzato come segue: fino a che punto è “estensibile”, “interpretabile” e dunque in definitiva “malleabile” il nucleo della Costituzione (rappresentato, giustappunto, dai principii e dai diritti di cui sopra)? Siamo stati interrogati più volte dalla storia, a partire dagli anni Novanta, su almeno tre dirimenti e differenti tematiche “costituzionali”: prima sulla sovranità, poi sulla salute e, da ultimo, sulla pace.
Queste dimensioni del vivere individuale e collettivo sono fondamentali sia per l’essere umano in senso lato, a prescindere dalla sua cittadinanza (e qui parliamo di salute), sia per il cittadino di uno stato democratico (e qui viene in gioco la sovranità, gelosa prerogativa di chi appartenga a una siffatta comunità statuale), sia per entrambi i soggetti citati (e qui entra in campo la pace). La nostra legge fondamentale si occupa di tutti i summenzionati valori. E tutti sono stati fatti oggetto, negli ultimi tempi, di una “tensione” non indifferente.
Il primo ad essere “sfidato” è stato il valore della sovranità. L’art. 11 della Costituzione è perentorio nel sancire che “l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Chiunque abbia compulsato gli atti parlamentari relativi al dibattito dell’assemblea costituente sa che i famosi “padri” si riferivano, con tale norma, all’Onu e non certo a una organizzazione internazionale profondamente diversa (ed estremamente più invasiva) quale ebbe poi a rivelarsi la Ue. Eppure, in un modo o nell’altro, l’Italia ha deciso di tollerare una versione “cedevole” dell’articolo 11 e ha finito, così, per abdicare a quote significative di sovranità, sia sul piano monetario che sul piano legislativo.
Poi è stata la volta del Covid-19 e dei vaccini. L’articolo di riferimento, come noto, è il 32. Vi si prevede che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Di nuovo, si è acconsentito a una ermeneutica lassista e fuorviante di tale precetto, accettando che l’obbligo vaccinale venisse introdotto per decreto e nonostante il farmaco “imposto” in via emergenziale e non privo di gravi effetti collaterali. Ma, soprattutto, non vi è stato alcun rispetto del “bene”, teoricamente infungibile e non negoziabile, costituito dalla dignità della persona umana: è passata, infatti, l’idea che un cittadino italiano possa tranquillamente essere privato del lavoro, e quindi del sostentamento, in caso di inottemperanza all’imperativa inoculazione.
Ora, con l’invio delle armi in Ucraina, per la terza volta ci troviamo nella condizione di “sollecitare” oltremisura l’articolo 11 laddove esso prescrive: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Com’è intuitivo, anche a un profano del diritto, la Costituzione sul punto è categorica. L’opzione bellica, molto semplicemente, è bandita dal nostro orizzonte giuridico. Foss’anche laddove concepita per “agevolare” soluzioni pacifiche: “salvifica” funzione svolta, secondo non pochi commentatori, dai missili e dalle mitragliatrici il cui invio alle truppe di Zelensky è stato autorizzato dal Parlamento italiano.
Ora, e per concludere, abbiamo due notevoli problemi in proposito. In primis, il fatto di aver aderito a trattati europei assai meno tranchant rispetto al “ripudio” della guerra stabilito dalla Carta del 1948. Più precisamente, l’articolo 42 del Trattato sull’Unione europea, statuisce: “L’Unione può avvalersi di tali mezzi [civili e militari, N.d.R.] in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite”. Capite bene come siamo anni luce lontani dalla “granitica” e assoluta indisponibilità (alle avventure militari) codificata nel già richiamato articolo 11.
Il secondo problema, ancora più grosso del primo, concerne invece proprio la tenuta complessiva del famoso nocciolo “duro” e inscalfibile della Costituzione. A furia di “leggerlo”, “interpretarlo”, “piegarlo” ai più diversi interessi e alle più svariate ipocrisie, finiremo probabilmente per romperlo.