Ad indagare è la Procura di Venezia, visto che nell’inchiesta è coinvolto un magistrato bergamasco. Arriva a distanza di anni una coda velenosa del processo per l’uccisione di Yara Gambirasio, la tredicenne che venne trovata assassinata nel febbraio 2011. Le famose tracce di Dna trovate sui vestiti dell’adolescente, il cui corpo fu abbandonato in un campo, sono al centro di una denuncia che Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo in via definitiva, ha presentato ancora un anno fa. Alla luce di quel documento, il procuratore aggiunto Adelchi D’Ippolito ha iscritto nel registro degli indagati il presidente della Prima sezione penale di Bergamo, Giovanni Petillo, oltre a Laura Epis, la funzionaria responsabile dell’Ufficio corpi di reato. Le ipotesi di reato sono frode in processo e depistaggio. Secondo i legali di Bossetti, i 54 campioni di Dna che erano stati repertati sui vestiti della ragazzina sarebbero alterati. Il corpo della ragazzina fu trovato il 26 febbraio 2011, mentre la sparizione era avvenuta il 26 novembre precedente. Yara stava tornando a casa dalla palestra a Brembate di Sopra e scomparve nel nulla. Bossetti non si è arreso nemmeno davanti alla sentenza definitiva e solleva dubbi (peraltro non nuovi) sulle tracce da cui si risalì al Dna di quello che venne chiamato “Ignoto 1”. Gli investigatori effettuarono uno screening cercando a chi corrispondesse la traccia genetica trovata sugli slip e sui leggings di Yara, arrivando alla identificazione. È la prova principale che ha condotto a una condanna da ergastolo.
L’indagine è scaturita da una denuncia presentata da Massimo Bossetti che, dopo la condanna definitiva sembra intenzionato a far riaprire il caso e a chiedere la revisione del processo. Gli esperti della difesa hanno cercato di contestare in tutti i gradi del processo la validità di quella prova. Lo scorso anno avevano presentato una richiesta di poter riesaminare i reperti che risultavano confiscati dopo la sentenza definitiva, in particolare proprio le tracce di Dna. Ma che fine hanno fatto quei cinquantaquattro campioni trovati sugli abiti della tredicenne? E soprattutto, come sono stati conservati? Sono questi gli interrogativi sollevati dall’avvocato Claudio Salvagni, uno dei difensori di Bossetti, il quale nella denuncia ha sottolineato come sembrasse che i campioni fossero scomparsi, per poi ricomparire, e ha insinuato il dubbio che il materiale non sia stato conservato in modo da evitare che si deteriorasse. Il procuratore aggiunto di Venezia, Adelchi D’Ippolito, ha svolto accertamenti istruttori, interrogando anche il sostituto procuratore bergamasco Letizia Ruggeri titolare dell’inchiesta e alcuni investigatori che si occuparono degli accertamenti coronati nel giugno 2014 dall’arresto di Bossetti. Secondo alcune indiscrezioni, si potrebbe però arrivare presto a una richiesta di archiviazione.
Intervistato da “Il Corriere del Veneto”, l’avvocato Salvagni ha dichiarato: “Pendono altri due ricorsi in Cassazione per ottenere l’autorizzazione a riesaminare quei reperti, che però ancora non sappiamo in che condizioni siano e che tipo di danni possano aver subito trasferendoli dall’ospedale San Raffaele, dove erano custoditi inizialmente, ai magazzini dell’Ufficio corpi di reato. L’obiettivo della denuncia di Bossetti è proprio di sapere se sono ancora utilizzabili o se qualcuno, magari interrompendo la catena del freddo indispensabile per la buona conservazione dei campioni, abbia compromesso per sempre la possibilità di effettuare dei nuovi studi sul Dna di ‘Ignoto 1’”.