“C’è qualcosa, in questa tragedia che va avanti ormai da oltre un mese, per me di incomprensibile”. A parlare è Emilio Santoro, fisico nucleare, ex-direttore responsabile del reattore di ricerca TRIGA RC-1 del Centro Enea Casaccia, al quale abbiamo chiesto di fare un po’ di chiarezza sulle notizie di un’eventuale sindrome da radiazione dei soldati russi nei pressi di Chernobyl. “Nel 1986 a Chernobyl – spiega – si è registrato il più grave incidente dell’era nucleare. Dopo l’evento, un esercito di persone è stato impegnato a ripulire l’area, anche ‘grattando’ via, per quanto possibile, una parte superficiale di terreno circostante dove maggiormente si era concentrata la deposizione al suolo dei radionuclidi contenuti nella nube. Tutte le azioni intraprese con l’obiettivo di mitigare gli effetti dell’incidente non hanno potuto comunque impedire che, all’interno di un vasto territorio, si delimitasse un’area, detta Zona di Esclusione, con livelli di radiazione tali da suggerire l’allontanamento di qualsiasi insediamento umano. Questa superficie comprende anche un bosco di pini chiamato Foresta Rossa, per via della colorazione assunta dalle cime degli alberi in seguito agli effetti della contaminazione. E ora la linea di comando dell’armata russa avrebbe imposto ai propri soldati di sostare proprio nella Zona di Esclusione e di scavare addirittura trincee? Se fosse confermato, sarebbe allucinante!”.
“Nella Zona di Esclusione – ha chiarito Santoro – il rateo di dose mediamente si aggira intorno a 1 mSv (milliSievert) all’ora (dati ricavati dalla mappa effettuata tramite droni del National Centre for Nuclear Robotics, UK, 2019). Per confronto, nel nostro paese, a causa della radiazione naturale, l’assorbimento da parte della popolazione in un anno è pari a poco più di 1 mSv. Non è la stessa cosa, anche se i numeri sono identici: nel primo caso si tratta di un rateo di dose, cioè un assorbimento di radiazione nell’intervallo di un’ora; nel secondo caso, invece, il valore del rateo di dose è integrato in un anno”. “Le notizie diffuse in queste ore – aggiunge Santoro – parlano di un certo numero di soldati russi che, attestandosi in quest’area, pare abbiano assorbito dosi di radiazione tali da essere sottoposti ad attenzione sanitaria. Si parla addirittura di sindrome acuta da radiazioni (Ars). All’inizio del conflitto, il passaggio delle truppe e dei mezzi pesanti in queste zone aveva già destato preoccupazioni perché il sollevamento delle polveri aveva alzato leggermente i livelli di radiazione locali. I radionuclidi presenti, come cesio 137 e stronzio 90, sono ormai la metà di quelli depositati nel 1986, dato che la loro emivita (tempo di dimezzamento) è appunto di circa trent’anni. Lo iodio 131 è quasi del tutto sparito, con i suoi otto giorni. Ma permangono, anche se in misura minore, radionuclidi con emivita molto più lunga”.
A fronte di questi dati, continua Santoro, “se è stato dato l’ordine ai soldati di sostare a tempo indeterminato in quest’area e addirittura di scavare trincee, io resto allibito. Non può certo essere una ‘notizia’ il fatto che alcuni di questi presentino dei livelli di contaminazione – soprattutto interni – a causa di una probabile inalazione di polveri. La radiazione può colpire per irraggiamento (esterno) e contaminazione (esterna e interna). L’irradiazione esterna dipende essenzialmente da tre fattori: durata dell’esposizione, distanza dalla sorgente irradiante ed eventuale schermatura. Ricordiamo anche che la radiazione diminuisce con l’inverso del quadrato della distanza: se a un metro di lontananza dalla sorgente è prevista una dose di 1 mSv, a due metri essa si riduce fino a un quarto di questo valore”.
Se le notizie dell’avvelenamento dovessero essere confermate, “devo dedurre che i soldati in questione si siano accampati da un mese, in quest’area, privi anche di qualsiasi dispositivo di protezione”. Comunque Santoro invita a grande prudenza: “Le notizie non sono state ancora confermate e potrebbero esserci anche altre spiegazioni. Per arrivare a una sindrome acuta occorrerebbe essere esposti a una sorgente esterna estremamente più intensa, anche per breve durata. Come un’esposizione in vicinanza di elementi di combustibile irraggiati (fortemente caldi) o ad altre tipologie particolari di sorgenti, come residui di materiale fuso nell’incidente e poi solidificato (corium). Ma, in questo caso, per quale oscuro motivo? Al momento, si possono avanzare solo ipotesi, in attesa che l’episodio venga meglio chiarito”.
Gianmarco Pondrano Altavilla