A pochi passi dal mare, sotto un cavalcavia, il depuratore è ormai una condanna per gli abitanti del quartiere: fino a pochi mesi fa era gestito da Girgenti Acque (azienda privata ormai fallita), oggi è diventato una discarica a cielo aperto. Centinaia di sacchi che racchiudono dentro fanghi derivanti dagli scarti delle depurazioni, mai smaltiti, lasciati in quel deposito anche da diversi anni
“Noi di notte preferiamo soffrire il caldo piuttosto che aprire le finestre”. L’anziana signora che vive nel primo palazzo vicino alla zona del depuratore di Licata, quartiere Fondachello, da casa sua potrebbe vedere il mare, basterebbe spalancare le imposte. “Siamo costretti a chiudere tutto perché non ne possiamo più – racconta – alcune notti l’odore che arriva è insopportabile quindi preferiamo accendere l’aria condizionata”. A pochi passi dal mare, sotto un cavalcavia, il depuratore è ormai una condanna per gli abitanti del quartiere: fino a pochi mesi fa era gestito da Girgenti Acque (azienda privata ormai fallita), oggi è diventato una discarica a cielo aperto. Centinaia di sacchi che racchiudono dentro fanghi derivanti dagli scarti delle depurazioni, mai smaltiti, lasciati in quel deposito anche da diversi anni.
A raccontare cosa non funziona nella gestione del deputaratore è un’inchiesta giudiziaria, quella su Girgenti Acque che il mese scorso ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio per 47 persone. Un’indagine che ha confermato i sospetti denunciati negli anni dai cittadini. Quello tratteggiato dagli investigatori è un sistema volto a produrre denaro, e che dunque non rispettava in alcun modo l’ambiente. A Licata, a pochi passi dallo splendido mare della costa, oltre all’inquinamento ben visibile dei sacchi mai smaltiti, c’è infatti quello nascosto prodotto dai tubi collegati con il fiume Salso: “Il depuratore soffre di carenze sia strutturali che funzionali – si leggeva nelle denunce dell’Arpa giunte fino al 2015 – per le quali è indispensabile che si proceda ad interventi di natura risolutiva”. Questi interventi non sono stati mai fatti e i liquami venivano sversati nel fiume e poi in mare provocando una strana “moria di esemplari ittici di medie e grandi dimensioni”, come spiegava l’associazione A Testa Alta, l’unica, come viene fuori dell’inchiesta, a denunciare l’operato di Girgenti Acque. “La gente dovrebbe fare il bagno in questa zona, invece tutto è stato rovinato – racconta uno degli abitanti della zona, che abita a pochi passi dal depuratore – anche i prezzi delle case sono scesi e quelle che erano delle ville vista mare ormai non valgono più nulla”.
Le indagini del 2015, dopo il sequestro del depuratore, hanno mostrato come in sostanza il depuratore non depurava: in diversi casi la procura redarguisce anche l’Arpa che in alcuni controlli precedenti non avrebbe cercato i livelli di escherichia coli, uno dei primi indici che rilevano l’inquinamento delle acque, dannoso per la salute delle persone. Ma non sono solo l’acqua e l’aria ad essere inquinata: “Secondo quando accertato dalle indagini – si legge ancora nelle carte dell’inchiesta- era presente una condotta interrata, direttamente collegata a una cisterna in calcestruzzo, anch’essa interrata, destinata a ospitare i reflui dell’impianto non ancora depurati. Tale condotta, secondo il Pubblico Ministero, era una vera e propria diramazione utilizzata per riversare direttamente sul sottosuolo il refluo all’interno del terreno”. A preoccupare gli abitanti di Fondachello sono soprattutto alcune intercettazioni contenute nel decreto di fermo. Dialoghi dai quali sembra di capire che a un certo punto i fanghi venivano sotterrati. “La nastropressa, o per un motivo o per un altro è ferma per guasti – dice un dipendente di Girgenti Acque, intercettato – ora praticamente mi hanno fatto fare una buca nel terreno di 7 metri per 32 metri profonda 80 centimetri […] e l’abbiamo riempita di fanghi asciutti, tirandoli fuori con l’escavatore”. Le buche, come spiega sempre lo stesso dipendente, venivano poi isolate con una membrana. Così, stando alle intercettazioni, i fanghi venivano nascosti sotto terra. Come se non bastasse “la dirigenza – si legge sempre nelle carte deell’inchiesta – ha tentato di modificare fraudolentemente i risultati delle analisi mediante l’eccessivo uso di cloruro ferrico o altri additivi chimici che modificano la natura di fanghi”. Altri fanghi e rifiuti venivano invece interrati in terreni della stessa zona: “100 metri cubi di fango per ogni buca” secondo l’indagine. Solo che quei terreni erano poi destinati alla coltivazione. E i prodotti andavano poi a finire nei mercati cittadini della provincia.