Media & Regime

Guerra in Ucraina, Google avverte gli editori online: “Demonetizzati i contenuti che sfruttano, ignorano o giustificano il conflitto”

Il colosso del web notifica ai creatori di contenuti, comprese le testate online, le sue nuove linee guida che puntano e sospendere la monetizzazione di pagine che violano le sue politiche, a partire da quelle sui "contenuti pericolosi o denigratori". Iniziative a tutela degli inserzionisti già percorse per altri argomenti, che tuttavia interrogano sulla grande influenza che l'azienda può avere sulla copertura mediatica di un evento

Google sta notificando le nuove linee guida sui contenuti che trattano del conflitto ucraino. L’ultimo aggiornamento è del 23 marzo, ma le mail continuano ad arrivare anche in queste ore, come segnalano alcuni editori. “A causa della guerra in Ucraina, sospenderemo la monetizzazione dei contenuti che sfruttano, ignorano o giustificano la guerra”, inizia il messaggio. La meccanica è identica a quella di altre iniziative intraprese da Google, e rientra nella politica dell’intermediario pubblicitario a tutela di chi investe nei suoi annunci online. Ma vista la posizione dominante del colosso statunitense, si tratta di scelte che rilanciano la questione della sua influenza sulla produzione di contenuti. Perché se è più facile comprendere la messa al bando di contenuti negazionisti, più complicato è definire cosa significhi “speculare” su una guerra alla quale tutti i media hanno dato la massima visibilità.

Il messaggio agli editori è firmato “The Google Ad Manager Team”, e “prega di notare che sono già state fatte rispettare le affermazioni relative alla guerra in Ucraina che hanno violato le politiche esistenti (ad esempio, la politica sui Contenuti Pericolosi o Denigratori vieta la monetizzazione di contenuti che incitano alla violenza o negano eventi tragici). Questo aggiornamento ha lo scopo di chiarire, e in alcuni casi espandere, la nostra guida per gli editori in relazione a questo conflitto”. E ancora: “Questa pausa include, ma senza limitarsi a questo, affermazioni che accusano le vittime di essere responsabili della loro tragedia o altri casi simili che colpevolizzano le vittime, come le affermazioni di chi sostiene che l’Ucraina sta commettendo un genocidio o che attacca deliberatamente i suoi stessi cittadini”. Censura? Più banalmente, Google fa il suo lavoro, che è quello del più potente intermediario per la pubblicità online. E in un momento in cui la narrazione del conflitto è abbondante su tutti i media, cerca di evitare che gli annunci dei suoi clienti appaiano accanto a contenuti scioccanti o quantomeno impropri per la maggior parte dell’opinione pubblica, che è anche la destinataria della pubblicità online.

In risposta a quanto accaduto in Ucraina, già il 26 febbraio Google aveva sospeso la monetizzazione dei siti dei media istituzionali russi, e una settimana dopo ha annunciato di aver smesso di vendere tutti gli annunci online in Russia. Il 10 marzo viene messa in pausa la creazione di nuovi account su AdSense, AdMob e Google Ad Manager. Inoltre veniva avviata una stretta a livello globale per tutti gli inserzionisti russi. Iniziative alle quali il governo di Vladimir Putin ha risposto mettendo al bando Google News, accusandolo di consentire l’accesso a ciò che la Russia chiama “materiale falso sull’operazione militare in Ucraina”. Ma a far discutere sono soprattutto le iniziative che ricadono sulla produzione di contenuti, e che declinano la politica di Google sugli avvenimenti del conflitto ucraino. Al netto di foto o articoli rimasti impigliati nell’algoritmo della piattaforma della società, la modalità di queste ore ricorda quella utilizzata per altri temi, a partire dal cambiamento climatico. L’anno scorso Google ha infatti deciso di sospendere la monetizzazione di pagine che sostengono tesi antiscientifiche o che in generale neghino gli effetti in atto del Climate Change. Un monito per tutti coloro che pubblicano online e guadagnano attraverso la piattaforma di annunci di Google, compresi i creativi di YouTube, già “demonetizzati” quando hanno pubblicato video di feste in piena pandemia. Un meccanismo in cui, al netto delle opinioni sui singoli interventi, i produttori di contenuti, compresi gli editori di molte testate, sono per ora l’anello debole della catena.

A commento dell’aggiornamento delle linee guida di Google, su molti siti che rilanciano la notizia sta rimbalzando la dichiarazione di una accademica statunitense, Maria Armoudian, attualmente docente di politologia all’università di Auckland, in Nuova Zelanda ed esperta di media. “Vale la pena notare che Google non sta facendo la stessa cosa con altri conflitti in corso e violazioni dei diritti umani che si stanno verificando anche in questo momento”, ha detto Armoudian, autrice di ‘Kill the Messenger: The Media’s Role in the Fate of the World’. E domanda: “Si tratta di una nuova politica che si applicherà in modo costante, o se si tratta invece di interventi selettivi, che distinguono tra le vite dei nostri simili?”. Allo stesso modo, e nello specifico delle recenti comunicazioni di Google, molti si interrogano sull’interpretazione di termini come “contenuti che speculano sulla guerra“. Sta forse sfruttando la guerra chi ha aumentato la produzione di contenuti sul conflitto per moltiplicare la pubblicazione nella consapevolezza che i contenuti di guerra hanno in questo momento un grande seguito? Due settimane fa le home page di alcuni quotidiani online, compreso ilfattoquotidiano.it, sono state sospese dalla monetizzazione degli annunci di Google, verosimilmente per contenuti relativi all’Ucraina che possono essere risultati “scioccanti” per la politica di Google. Sospensioni rientrate in pochi giorni, che però fanno riflettere sulla possibile influenza del colosso sulla copertura mediatica di un evento, a causa della forza che questa azienda ha nel mercato.