Il conflitto scatenato da Putin non può essere limitato allo scontro tra Mosca e Nato. Come vanno intese le recenti parole del ministro degli Esteri cinese? A ilfattoquotidiano.it Paolo Magri, direttore dell'Ispi, spiega: "Pechino fa riferimento a un ordine che preveda più spazio per la Cina che intende mettersi alla guida dei Paesi in via di sviluppo". E Vittorio Emanuele Parsi, professore alla Cattolica di Milano, vede il messaggio cinese più indirizzato "a chi crede che il mondo sotto l'egemonia americana abbia portato più danni che benefici"
“Russia e Cina continuano a parlare con una sola voce negli affari globali, con l’obiettivo di andare verso un ordine mondiale multipolare, giusto e democratico”. Le dichiarazioni del ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, al termine dell’incontro con il suo omologo russo, Serghej Lavrov, tornano su un tema caro a Pechino. Ma se negli anni la questione del “nuovo ordine mondiale” è stata sollevata ciclicamente nelle dichiarazioni della Repubblica Popolare, questa riproposizione nel corso di un conflitto, quello in Ucraina, che vede coinvolte a diversi livelli tutte e tre le principali potenze mondiali, Stati Uniti, Russia e Cina, assume un significato diverso.
Secondo Paolo Magri, direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), il messaggio di Pechino è rivolto “soprattutto agli Stati Uniti e al loro braccio militare, ovvero la Nato. Quindi, Pechino fa riferimento a un ordine che preveda più spazio per la Cina che intende mettersi alla guida dei Paesi in via di sviluppo. La Nuova Via della Seta e i Brics sono tutti esempi che esprimono lo stesso concetto, ossia ‘anche noi vogliamo partecipare alla definizione delle regole del gioco, soprattutto in campo economico’”. Una visione, questa, condivisa anche da Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell’università Cattolica di Milano, che vede però il messaggio cinese più indirizzato “a chi crede che il mondo sotto l’egemonia americana abbia portato più danni che benefici. Gli esempi nella storia recente abbondano, dall’invasione dell’Iraq alla gestione del ritiro dall’Afghanistan, ma anche della crisi economica del 2008. Ciò che stanno dicendo è che vogliono una gestione dell’ordine diversa”, che si allontani da quella americanocentrica.
Le parole del capo della diplomazia di Pechino mostrano anche, se mai ce ne fosse stato bisogno, che in Ucraina non si sta combattendo né un conflitto locale, né regionale (quello che è stato inizialmente definito uno scontro Russia-Nato). Si tratta di una guerra su scala globale: “Credo lo sia sempre stata in realtà – continua Parsi – basti pensare all’incontro tra Vladimir Putin e Xi Jinping in occasione dell’inaugurazione dei Giochi Olimpici di Pechino. In quell’occasione il capo del Cremlino si recò dall’omologo cinese per comunicargli i suoi piani e di conseguenza ha provocato un’escalation politica“.
Ed è da quel momento che Pechino ha dovuto iniziare a scegliere con attenzione tutte le proprie mosse. Perché è proprio la Repubblica Popolare, aggiunge Magri, il grande attore che, oggi, è messo davanti a una scelta: stare con gli Usa o con la Russia. “Oggi è Xi Jinping che è chiamato a una scelta importante: appoggiare l’azione revisionista di Putin o tutelare la propria economia colpita dalla guerra? Tutto dipenderà dai costi che si presenteranno in termini di isolamento internazionale, costo delle materie prime e limitazioni all’interscambio. Il tema è: l’amicizia è davvero senza limiti?“. E a suo parere “non dobbiamo aspettarci per forza un supporto diretto alla Russia da parte cinese, sono solo parte di un rapporto di lunga durata che condivide l’obiettivo più grande della revisione dell’ordine mondiale”. Per Parsi, invece, Pechino sembra avere già scelto, pur non avendo ancora esplicitato chiaramente le proprie posizioni: “Per il momento mi sembra che le posizioni della Cina siano spostate più sul fronte russo – spiega – Xi Jinping pentito di aver offerto pubblicamente appoggio a Putin? Poteva mollarlo, ma non l’ha fatto. Ha scelto tra lasciare sola la Russia e rimanere a sua volta solo contro gli Usa, o cercare di mantenersi vicino un buon alleato in funzione anti-americana”.
Una decisione che si spiega con quelle che sono appunto le ambizioni cinesi sul nuovo ordine mondiale: “La Cina – aggiunge Magri -, seconda potenza economica mondiale, soffre la stretta di un sistema internazionale costruito da altri, ovvero Europa e Stati Uniti, quando Pechino era un nano economico. Tanto è vero che chiede da anni una riforma del Fondo monetario internazionale. La Cina vede però il conflitto come una guerra tra la Nato e la Russia da cui stare fuori il più possibile”.
La leadership comunista, come ha dimostrato in questo mese e più di conflitto, sta misurando ogni sua dichiarazione, ogni sua scelta strategica con molta attenzione. E tra queste, sostiene Parsi, non è affatto esclusa quella che porta “all’aggiunta di un nuovo fronte di crisi, ossia Taiwan. Con questo non sto parlando di un’invasione – precisa – ma di un innalzamento della tensione anche su quel fronte di primaria importanza per Pechino”. I risultati che Cina e Russia otterranno da un tentativo di ridisegnare l’ordine mondiale, conclude però il direttore di Aseri, dipendono innanzitutto dall’Occidente: “Intanto dobbiamo capire che Difesa, economia e politica energetica sono collegate tra loro. La Cina lo ha capito, mentre l’Occidente mette davanti ormai da anni l’aspetto economico. Se capiremo che la soluzione è nella politica, allora eviteremo di rimanere schiacciati in questa mossa a tenaglia che Cina e Russia stanno facendo nei nostri confronti”.