di Eleonora Padovani
Già con l’emergenza legata al Covid-19 si è vista una risposta non solo individuale ma collettiva in termini di adattamento. L’associazionismo e le scelte comuni sono state maggiormente in grado di rispondere ai bisogni rispetto all’individualismo, capace di fornire spesso risposte solo per sé o per una piccola cerchia. E’ forse questo l’aspetto nel quale ognuno di noi ha tratto una lezione veramente utile dal recente accaduto.
Ci siamo dovuti evolvere, nostro malgrado, nonostante le nostre lecite o poco lucide resistenze personali a uscire da una zona di comodità. Si è osservato come la comunità europea, colta impreparata dalla pandemia, abbia poi iniziato a lavorare per una condivisione del debito tra i paesi membri, impensabile prima della crisi, ad esempio. E’ ancora presto forse per vedere quest’adattamento sociale di larga scala applicato nei confronti dell’emergenza ucraina che sta avendo, come immediata risposta collettiva, un atteggiamento di solidarietà che si esprime in donazioni, collette alimentari e di beni primari, cura, trasporto e prima accoglienza.
Nella parola greca krino, crisi, vi è il significato di separare-scegliere. Il processo quindi di adattamento messo in atto da una crisi prevede il separarsi da una parte di noi non più funzionale a quello che accade e la scelta del nuovo da agire per affrontare ed eventualmente risolvere la situazione. I tempi bui, che ci preoccupano molto, giacché ci sia ripetuto sovente di non preoccuparci, sono ciclici nella storia dell’umanità e se affrontati con lo spirito giusto possono addirittura essere grandi occasioni per fare enormi passi avanti, ora tutti insieme.
In questi giorni si teme seriamente l’arrivo di un conflitto nucleare, anche se si osserva la tendenza a normalizzare questa tensione; trascendendo per un attimo l’attaccamento alla vita e la paura della morte/perdita, si può vedere questa fase storica come una grande opportunità di rimettere in discussione tutto. Quando tutto diventa difficile intorno a noi, la mente inizia a vedere cose che prima non notava, entra in una fase di rivelazione. Anche i nostri conflitti interiori sono come tante piccole battaglie che combattiamo spesso senza saperlo su diversi fronti. Banalmente, “mangio un fritto misto e mi godo la vita oppure rinuncio e miglioro la mia salute?”. Oppure: “Sono d’accordo nell’inviare armi a un paese attaccato che ha deciso di difendersi e rispettare questa scelta legittima e sovrana o auspicare e coltivare nel contempo una cultura di pace con la pratica dei diritti umani?”.
Ogni giorno un’enorme quantità di questi piccoli e apparentemente insignificanti conflitti ci portano a sprecare molta energia (che costa) per prendere decisioni “combattute”. Lavoro affinché queste parti di me possano accettarsi e darmi pace. Dalle scelte personali, se preferire una dieta a un’altra, alla crisi delle scorte di grano planetarie, da come ci alimentiamo a come ci relazioniamo. Ad esempio, il dibattito, partito dalle scelte personali, è approdato su larga scala; oggi leggiamo articoli che teorizzano l’evoluzione di un nuovo ordine mondiale. Le nazioni stanno forse anch’esse comprendendo che imparando a riconoscere questi conflitti si fa già il più importante e significativo passo verso la loro risoluzione? Il beneficio che ne risulterebbe è forse che la vita stessa diventerebbe più armoniosa se considerassimo che il mondo intorno a noi non è altro che il riflesso di quello che siamo e molti dei conflitti che ci circondano svaniscono quando risolviamo quelli interiori.
E’ lecito infine interrogarci su questo aspetto applicandolo alle nostre democrazie. Sono esse attualmente in grado di leggere e reggere questo cambiamento già in atto? Queste democrazie che appaiono spesso scollate dalla realtà possono evolvere in una maggiore adesione alla realtà – perdendo qualcosa d’inadatto per l’adattamento necessario – e chiedersi, loro malgrado, cosa possono evolvere per riflettere una società più equilibrata?