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Il mistero del “Lago degli scheletri” da cui emergono teschi e ossa ogni volta che si scioglie la neve: “Presentano segni di violenza”

Lo chiamano il “Lago degli scheletri” per via dei teschi e delle ossa che compaiono ogni volta che la neve si scioglie. E’ il luogo più misterioso e horror di quel territorio impervio che è la valle dell’Himalaya indiano

di Simona Griggio

Duecento scheletri umani. Riposano sulle rive del Roopkund Lake, il lago nella valle dell’Himalaya indiano. Perché sono lì? Chi erano in vita? È un doppio mistero. Non è mai stato chiarito dal 1942, anno della scoperta dei resti. Ma ora c’è chi vuole vederci chiaro. Ed è partita l’ennesima indagine. Oggi però la tecnologia offre molte armi in più rispetto al passato. Lo chiamano il “Lago degli scheletri” per via dei teschi e delle ossa che compaiono ogni volta che la neve si scioglie. E’ il luogo più misterioso e horror di quel territorio impervio. Come fosse una delle scene clou della saga di Indiana Jones. Ma è tutto vero. Annidato in una valle quasi sempre innevata, a 5.029 metri sull’Himalaya indiano nella regione dell’Uttarkhand, il lago Roopkund svela una volta all’anno il suo macabro segreto. Le ossa umane. E lo fa ad agosto, l’unico mese in cui non è ghiacciato.

Torniamo all’anno della scoperta: il 1942. E’ da allora che gli antropologi si stanno scervellando per trovare una risposta. Ad accorgersi dei resti umani per la prima volta è stato un ranger britannico. Sul limitare di quello specchio d’acqua di appena 40 metri di diametro per due di profondità ha contato 200 resti, fra teschi, ossa, brandelli di pelle conservati dal ghiaccio. Ancora oggi, in quel mese, sempre lo stesso, agosto, il lago restituisce nuove ossa. Chi ha ucciso quelle persone? Una malattia? Una battaglia? Oppure è stato un suicidio di massa? L’ipotesi numero uno, avanzata dalle autorità britanniche che al tempo amministravano l’India, è che si tratti di soldati giapponesi in fuga dall’India. Ma questa teoria non trova un robusto fondamento.

Prende invece sempre più strada l’ipotesi di una morte di gruppo. La causa? Una calamità naturale, un’epidemia o anche un suicidio rituale. Fra leggende e indagini supportate dalla scienza l’indagine in corso deve scoprire chi erano i 200 sventurati che il ghiaccio himalayano continua a conservare nel tempo. E perché si trovavano lì. Anche perché, come si direbbe in un’indagine moderna, i resti “presentano segni di violenza”. Quali? Delle crepe che sembrano state lasciate da oggetti contundenti. Ma arrotondati, non affilati o spigolosi. Anche alle spalle, come se l’ipotetico agguato fosse arrivato a tradimento, senza dare l’opportunità di difendersi.

Era il 2004. Una missione di National Geographic sembrava aver dipanato il bandolo della matassa. Aveva concluso che le vittime erano appartenenti a una tribù di pellegrini accompagnati dagli abitanti dell’Himalaya. Intorno al lago degli scheletri c’erano anche anelli, scarpe in cuoio, lance e bastoni di bambù. L’ipotesi? Un evento atmosferico violentissimo. Raro, ma non impossibile: una super grandinata con chicchi di ghiaccio di 23 centimetri di diametro. Una tempesta di ghiaccio. Gli scheletri erano stati analizzati con il radiocarbonio, che aveva anche stimato la data approssimativa dell’evento: intorno all’800 d.C. Un nuovo studio del 2019 ha però rimesso in discussione tutto. Lo ha eseguito un team internazionale. Stavolta entra in campo il Dna, eseguito su 38 resti. Sorpresa: sono tre i gruppi genetici differenti: uno delle regioni meridionali dell’Asia, uno dal bacino del Mediterraneo, e un individuo singolo dalla Cina o dal Giappone. Ed è questo, per gli studiosi, il dato più sconvolgente. Come è potuto essere arrivato lì? E in generale, com’è possibile che persone dalle caratteristiche e dalla provenienza così differenti si trovassero tutte insieme, nello stesso punto, nel momento della loro morte?

Ma c’è un ulteriore elemento sorprendente. Non tutti sarebbero morti nello stesso momento. Una parte tra il settimo e il decimo secolo, un altro tra il diciassettesimo e il ventesimo secolo. In epoca quindi relativamente recente. Ma perché uomini di epoche così diverse sono andati incontro a un tragico destino nello stesso luogo in epoche così differenti? Si ipotizza il percorso di un pellegrinaggio: il lago si trova lungo un sentiero mistico, battuto fin dalla notte dei tempi. La via per raggiungere il santuario di Nanda Devi (Dea dispensatrice di beatitudine), sul confine fra India e Tibet sorge su una montagna di oltre sette mila metri di altezza. Ma come anticipato, qualcuno almeno per le ossa più recenti si è spinto a parlare di soldati giapponesi in fuga. C’è abbastanza mistero per sollecitare una nuova indagine. Magari eseguita con tutti i test che le tecnologie dell’investigazione mettono a disposizione. Sì: è proprio un’inchiesta da detective della storia. Ma bisogna fare in fretta. Il lago è diventato anche una meta turistica e qualche escursionista ha cercato di trafugare le ossa. Macabri souvenir.

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