Etilometri gratuiti, distribuzione di preservativi e volantini sulle modalità di consumo delle sostanze. Le attività di riduzione del rischio – come quella di Coop Lotta contro l’emarginazione – sono sempre più diffuse e riconosciute in Europa, ma non c’è un’organizzazione capillare e unitaria. Gestiscono tutto le regioni
Nella provincia di Varese il camper di Discobus lo riconoscono tutti. E non solo per il suo aspetto inconfondibile, con i dipinti di Caravaggio riprodotti dal famoso street writer Ravo. “Quando lo vedono girare, i ragazzi sanno che possono fare l’etilometro, prendere un preservativo o un volantino – spiega Meme Battagi della Cooperativa Lotta contro l’Emarginazione – Sanno che ci sono degli educatori, cioè degli adulti ma anche dei fratelli maggiori, che possono aiutarli e dare loro informazioni ma senza giudizio”.
Proprio l’assenza di giudizio è alla base del lavoro con i giovani e gli adolescenti, sia nelle scuole sia in strada. “Quando facciamo prevenzione nelle classi, incontriamo 14enni o 15enni che difficilmente consumano sostanze – spiega Roberta Bettoni, Responsabile dell’area territoriale di Varese per la Coop Lotta contro l’Emarginazione – Cerchiamo di potenziare le cosiddette ‘life skills’ che servono come fattori protettivi dalle dipendenze, come sviluppare un pensiero critico o la capacità di resistere alla pressione del gruppo”. L’approccio alla riduzione del rischio è più diretto: “Con Discobus andiamo sul territorio – in particolare nelle grandi città – con l’idea di contattare i consumatori dove consumano” per sensibilizzarli. Il target quindi sono gli adolescenti, al contrario di quanto avviene nei progetti di riduzione del danno, indirizzati – sin dall’esplosione dell’Hiv negli anni Ottanta – ai dipendenti da cocaina o eroina. In quel caso l’obiettivo è prevenire le overdose o limitare l’utilizzo promiscuo di siringhe, nelle piazze di spaccio – “dove avviene il consumo a cielo aperto” – o nei luoghi della quotidianità, “a bassa soglia”. La riduzione dei rischi nasce invece successivamente e si rivolge a persone con uno stile di vita diverso: “Non incontriamo persone con un consumo problematico o che svilupperanno una dipendenza, ma giovani che corrono dei rischi contingenti. Così cerchiamo di attenuarli”. Questo tipo di attività si svolge principalmente di notte, fuori da locali, discoteche, sale da concerto, circoli, centri sociali e sagre paesane, ma anche in prossimità delle strade della movida o di feste abusive come i rave party. Nel periodo della pandemia di Covid il camper ha girato anche di giorno “in parchi, piazze, strade, stazioni”, cioè nei luoghi di ritrovo più informali. I controlli di Discobus sono stati quindi più complessi. Questo è stato il cambiamento maggiore per l’attività nell’ultimo periodo. “I dati dei nostri questionari sul consumo di alcol e droga non fanno fede. Non sono infatti come i dati Espad (European school survey project on alchol and other drugs) su un campione di popolazioe giovanile – spiega Bettoni – Noi infatti andiamo a cercare i ragazzo che sono esposti al rischio, cioè quello che consumano. Quindi abbiamo percentuali altissime che non rispecchiano la realtà”. Proprio i “parchi, piazze e stazioni” sono “i contesti dove è più facile bere due birre in più, fare tardi con gli amici, poi mettersi in macchina e fare un incidente”, conclude Bettoni. Gli operatori quindi svolgono test dell’etilometro gratuiti, scoraggiano comportamenti rischiosi sotto l’effetto di alcol o cannabis, suggeriscono test e controlli per le malattie sessualmente trasmissibili, ma soprattutto passano informazioni corrette.
“Per la riduzione dei rischi è fondamentale non partire dal giudizio della sostanza – afferma Battagi – C’è un pericolo, ma dipende dal contesto, da chi è la persona che consuma e da quali sono le sue condizioni fisiche e mentali: un ragazzo di 13 anni che abusa di cannabis in camera da solo è diverso da qualcuno che lo fa a una festa illegale o sull’orlo di un precipizio – fa l’esempio – Cambia se lo si fa in compagnia, magari dopo aver mangiato, a stomaco pieno. Noi poniamo una questione su un comportamento e i ragazzi poi possono valutare”. Spesso gli educatori hanno un’età molto vicina al target del progetto Discobus. “Come a scuola, usiamo molto la tecinca della peer education – spiega ancora il responsabile – Se ti dico io, che sono un adulto, che devi essere sobrio se ti metti alla guida, sembra un’informazione noiosa, da trasgredire. Se te lo dice un tuo pari, ti fidi di più”. Proprio instaurare rapporti di fiducia reciproca è fondamentale. “Noi parliamo con i ragazzi di quello che di solito è un tabù – aggiunge Bettoni – Ci sono ancora adesso dei pregiudizi, come quello che dal fumare la marijuana si passi all’eroina o alla cocaina. Ma il consumatore sa per esperienza che non è vero. Quindi se cerchi di dargli una notizia falsa, come questa, perdi la tua credibilità e la possibilità di entrare in relazione”.
In Italia oggi esistono diversi servizi per la riduzione dei rischi. L’Osservatorio Eudopeo per le tossicodipendenze ha legittimato nel 2009 le strategie d’intervento delle Unità mobili giovani – come Discobus –, poi inserite nei livelli essenziali di assistenza sociosanitaria. “Esiste un decreto ma non che permetta una realizzazione capillare sul territorio – afferma la responsabile di Varese per l’ormai 22enne Coop Lotta – Ogni Regione quindi sta agendo in modo differente”. In Lombardia sono ventina di progetti e i dati presentati dalle cooperative – su chi rinuncia a guidare sotto l’effetto di sostanze o chi afferma di volersi recare agli ambulatori per le malattie sessualmente trasmesse – hanno convinto gli amministratori: “Lavorando sulla sicurezza e l’incidentalità stradale, le ricadute sono comprensibili a tutti – spiega ancora Bettoni – sono concetti che non hanno un colore politico. C’è chi ha posizioni più vicine o più lontane – ammette – Ma tendenzialmente non c’è più il clima di vent’anni anni fa, in cui chi lavorava con il consumo era accusato di non voler salvare i ragazzi”.