Assolto dopo che il pm si era detto “costretto” a chiedere 14 anni per lui, per Alex Pompa, lo studente che uccise a coltellate il padre per difendere la madre, si profila un processo di secondo grado. La sentenza di assoluzione è stata impugnata. “Non vi è prova di una lotta” tra Giuseppe Pompa e il figlio Alex, “ma solo del tentativo” del genitore di sottrarsi “all’aggressione”. E “non vi è la prova del fatto che il padre fosse riuscito ad armarsi, ma solo del fatto che fosse riuscito a impossessarsi di uno dei coltelli impugnati” dal ragazzo, “perdendone subito il possesso per l’intervento” dell’altro figlio Loris. Queste le motivazioni per cui il pubblico ministero di Torino, Alessandro Aghemo, come anticipato dalle pagine locali dei quotidiani, ha presentato appello il verdetto di primo grado.
Il 30 aprile 2020, nella casa di famiglia a Collegno (Torino), il giovane colpì il padre Giovanni per 34 volte servendosi di sei coltelli da cucina diversi. Il genitore, in uno dei suoi frequenti e furibondi scatti di collera, si era appena scagliato contro la madre. Per la Corte d’Assise, che lo scorso novembre lo ha scagionato, fu legittima difesa. Per l’accusa, che aveva chiesto 14 anni di carcere, i giudici hanno valutato “in modo erroneo” le prove, “in modo da offrire una ricostruzione dell’accaduto completamente sganciata da quanto era emerso nel dibattimento, frutto di una rivisitazione del compendio probatorio dominata da una tesi preconcetta d’innocenza dell’imputato”. Per i giudici di primo grado che lo hanno assolto invece fu legittima difesa: “Se non lo avesse ucciso il padre avrebbe compiuto una strage”.