Si spreca ancora una gran parte dei materiali estratti dagli ecosistemi. Anche l’Italia non centra l’obiettivo di invertire la rotta e disaccoppiare crescita economica e uso delle risorse, pur contenendo i danni rispetto ad altri Paesi
Con la crisi delle materie prime che mancano e, quando si trovano, hanno prezzi alle stelle, una delle risposte potrebbe essere quella dell’economia circolare. Che, però, non decolla. Tra il 2018 e il 2020 il tasso di circolarità è sceso dal 9,1% all’8,6%: negli ultimi cinque anni i consumi sono cresciuti di oltre l’8% (superando i 100 miliardi di tonnellate di materia prima utilizzata in un anno) a fronte di un incremento di riutilizzo di appena il 3% (da 8,4 a 8,65 miliardi di tonnellate). Così si spreca ancora una gran parte dei materiali estratti dagli ecosistemi. Anche l’Italia non centra l’obiettivo di invertire la rotta e disaccoppiare crescita economica e uso delle risorse, pur contenendo i danni rispetto ad altri Paesi.
Pil e consumo di materiali viaggiano in parallelo e la ripresa del 2021 mostra come i due valori si stiano riportando sugli stessi livelli precedenti alla pandemia. È quanto emerge dall’edizione 2022 del Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia, realizzato dal CEN (Circular Economy Network), la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile assieme a un gruppo di aziende e associazioni di impresa, in collaborazione con Enea. Nel dossier, le proposte del network proprio per far fronte all’aumento dei prezzi causato prima dalla pandemia, poi dall’aumento della domanda e, infine, dalla guerra tra Russia e Ucraina. Partendo dalle risorse del Pnrr. Quelle direttamente finalizzate all’economia circolare ammontano a 2,1 miliardi di euro.
Consumi ed economia circolare – Il report si focalizza su Italia, Francia, Germania, Polonia, Spagna. I primi due Paesi sono quelli che che fanno registrare le migliori performance di circolarità, totalizzando 19 punti ciascuno. In seconda posizione, staccata di tre punti, si attesta la Spagna con 16 punti. Decisamente più contenuto è l’indice di performance di circolarità della Polonia e della Germania che ottengono, rispettivamente 12 e 11 punti. In media, in Europa, nel 2020 sono state consumate circa 13 tonnellate pro capite di materiali. Ma tra le cinque maggiori economie al centro dell’analisi del rapporto le differenze sono consistenti: si va dalle 7,4 tonnellate per abitante dell’Italia alle 17,5 della Polonia. La Francia è a quota 8,1, la Spagna a 10,3, la Germania a 13,4.
Nel 2020 per nessuno dei cinque Paesi europei esaminati si è registrato un incremento nella produttività delle risorse. In Europa, a parità di potere d’acquisto, per ogni chilogrammo di risorse consumate sono stati generati 2,1 euro di Pil. L’Italia è arrivata a 3,5 euro (il 60% in più rispetto alla media). Il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo misura il contributo dei materiali riciclati alla domanda complessiva di materia. Nel 2020, ultimo anno di dati disponibile, il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo nell’Ue è stato pari al 12,8%. In Italia, sempre nello stesso anno, il valore ha raggiunto il 21,6%, secondo solamente a quello della Francia (22,2%) e di oltre 8 punti percentuali superiore a quello della Germania (13,4%). Spagna (11,2%) e Polonia (9,9%) occupano rispettivamente la quarta e la quinta posizione.
Il fronte rifiuti, tra alti e bassi – Premesso che la situazione è molto diversa a seconda dei materiali (basti pensare al caso della plastica, ndr) “in Italia – si legge nel rapporto – la percentuale di riciclo di tutti i rifiuti urbani e speciali, ha quasi raggiunto il 68%, il dato più elevato dell’Unione europea”. Vale la pena sottolineare, però, che con queste percentuali si intende la quota di rifiuti avviati a riciclo. Come la cronaca insegna, questo non sempre significa che si tratti di rifiuti poi effettivamente riciclati. Discorso che vale per l’Italia, ma anche per tutti gli altri Paesi presi in esame. Si tratta, inoltre, di una quota trainata dai rifiuti speciali. Tra le cinque economie osservate, l’Italia è anche quella che al 2018 ha avviato a riciclo la quota maggiore di rifiuti speciali (quelli provenienti da industrie e aziende), circa il 75%. Per quanto riguarda i rifiuti urbani (il 10% dei rifiuti totali generati nell’Unione europea) l’obiettivo di riciclaggio è del 55% al 2025, del 60% al 2030 e del 65% al 2035. Nel 2020, nell’Ue è stato riciclato il 47,8% dei rifiuti urbani, in Italia il 54,4%. Sempre nel 2020 i rifiuti urbani avviati in discarica in tutta l’UE sono stati il 22,8%. Dopo la Germania (0,7% di smaltimento in discarica) cin sono, con un notevole distacco, Francia (18%) e Italia (20,1%). Ma, tanto per avere una panoramica più completa, anche Danimarca, Finlandia e Svezia arrivano a percentuali inferiori all’1%, mentre l’obiettivo del 10% previsto per il 2035 è già stato raggiunto anche da Slovenia (6,7%), Lussemburgo (3,8%), Paesi Bassi (1,4%) e Belgio (1,1%).
Le noti dolenti dell’Italia – Uno dei settori in cui l’Italia è più in difficoltà è il consumo di suolo: nel 2018, nell’Ue a 27, risultava coperto da superficie artificiale il 4,2% del territorio. La Polonia era al 3,6%, la Spagna al 3,7%, la Francia al 5,6%, l’Italia al 7,1%, la Germania al 7,6. Anche per l’ecoinnovazione siamo agli ultimi posti: nel 2021 dal punto di vista degli investimenti in questo settore l’Italia è al 13° posto, con un indice di 79. La Germania è a 154. Infine, la riparazione dei beni: in Italia nel 2019 oltre 23mila aziende hanno lavorato alla riparazione di beni elettronici e di altri beni personali (vestiario, calzature, orologi, gioielli, mobilia, ecc.). Siamo dietro alla Francia (oltre 33.700 imprese) e alla Spagna (poco più di 28.300). In questo settore l’Italia ha perso quasi 5mila aziende (circa il 20%) rispetto al 2010. “Le nostre economie sono fragili perché per aspetti strategici dipendono da materie prime localizzate in larga parte in un ristretto gruppo di Paesi” spiega il presidente CEN ed ex ministro Edo Ronchi, secondo cui “è un nodo che rischia non solo di soffocare la ripresa, ma di destabilizzare l’intera economia con una spirale inflattiva. Ed è qui che l’economia circolare può fare la differenza – aggiunge – trovando all’interno del Paese le risorse che è sempre più costoso importare”.