Un impianto sicuro per tutti, lavoratori e cittadini di Taranto. Un adeguamento all’Autorizzazione integrata ambientale ormai completo al 90%. Insomma: gli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva possono essere dissequestrati. Non solo: i Riva ormai fuori da qualsiasi gestione societaria. È quanto sostiene, in sintesi, la richiesta dell’Ilva in amministrazione straordinaria presentata negli scorsi giorni alla Corte d’assise del capoluogo ionico riguardo allo stabilimento ‘sigillato’ nel 2012 e per il quale gli stessi giudici hanno disposto la confisca nell’ambito della sentenza di primo grado del maxi-processo Ambiente svenduto, infliggendo 26 condanne per 270 anni di carcere.
A vagliare l’istanza presentata dalla struttura commissariale sarà la procura ionica, la prima chiamata a formulare un parere. Solo dopo toccherà ai giudici, togati e popolari, decidere se accogliere o meno la richiesta. Ad avviso della struttura commissariale – secondo quanto apprende Ilfattoquotidiano.it – si fa riferimento a un importante avanzamento dei lavori che sarebbe avvenuto a partire dal 31 maggio 2021, il giorno prima della sentenza. Gli avvocati di Ilva in as nel documento sottolineano come la stessa procura di Taranto, nel corso della requisitoria, aveva “evidenziato i meriti della gestione commissariale, la progressiva attuazione del Piano Ambientale, e la conseguente rimozione delle condizioni di rischio presenti al momento del sequestro, con graduale attenuazione delle esigenze cautelari”.
Evidentemente un anno fa non era stato sufficiente per ottenere la rimozione del sequestro. Adesso i legali – proprio nei giorni in cui trapela che lo Stato non sarebbe intenzionato a salire al 60% delle quote azionarie di Acciaierie d’Italia, joint venture con ArcelorMittal che sta gestendo l’impianto, perché non si sono verificate alcune condizioni d’acquisto – tornano alla carica descrivendo lo stabilimento sia ormai “un’altra entità rispetto all’opificio oggetto di sequestro preventivo nel luglio del 2012″, disposto dalla gip Patrizia Todisco. In questi 10 anni, si legge nel documento, “la realizzazione degli interventi prescritti dal Piano Ambientale ha significativamente modificato l’assetto impiantistico operativo” e così il siderurgico, allora ritenuto pericoloso, oggi sarebbe “uno stabilimento munito di presidi preventivi d’assoluta avanguardia secondo le Best Available Tecniques (migliori tecnologie disponibili, ndc) di settore, e condotto secondo modalità gestionali ispirate a principi di massima cautela e tutela ambientale”.
In seguito all’accordo con i Riva, si legge sempre nel documento firmato dai commissari straordinari, la famiglia che ha guidato l’acciaieria fino al sequestro, ha “definitivamente rinunciato a qualsiasi diritto sulla società” e “quindi sugli impianti oggetto di sequestro”. Secondo gli avvocati, per questo, è “pacifica quindi la recisione di qualsivoglia legame tra la società attuale ed i soggetti imputati e condannati nel primo grado di giudizio”. Inoltre, sostengono sempre i commissari davanti alla Corte d’assise, nel corso degli anni successivi al sequestro “gli esiti delle indagini ambientali e delle attività ispettive condotte dagli enti pubblici di controllo” hanno “escluso superamenti dei limiti emissivi fissati dalla cornice normativa di settore; univoci in tal senso gli esiti delle indagini sulla qualità dell’aria”. In buona sostanza – scrivono ancora gli avvocati di Ilva in as – “non sono mai affiorati indici di rischio per la collettività e per l’ambiente, neppure allo stadio potenziale”.