Da decine di testimonianze raccolte da ilFattoquotidiano.it emerge un quadro diverso dall'immagine di azienda family friendly e attenta al bilanciamento vita-lavoro cara al gruppo svedese. Per ridurre i costi c'è per esempio il ricorso a manodopera della logistica tramite appalti affidati a cooperative che garantiscono prezzi bassi non pagando la quota malattia. E i dipendenti stabili con contratti ante Jobs Act hanno fatto i conti con un programma di riorganizzazione che sopprimeva la figura del capo reparto di primo e secondo livello per poi spostare parte del personale in punti vendita lontani anche centinaia di chilometri
Utilizzo massivo di contratti part time a tempo determinato come leva per spingere i lavoratori a massimizzare la produttività. Ricorso a manodopera della logistica tramite appalti o contratti di fornitura conto terzi affidati a cooperative che riescono a mantenere prezzi bassi comprimendo di fatto i diritti dei lavoratori, ad esempio non pagando la quota malattia. Demansionamenti e trasferimenti illegittimi. Grande ricorso all’attivazione di stage per mansioni come addetti alla vendita, cassieri e magazzinieri. Ikea Italia tiene molto all’immagine di azienda family friendly e attenta al bilanciamento vita-lavoro. Le testimonianze di lavoratori, ex dipendenti e rappresentanti sindacali della multinazionale svedese di arredi low cost dipingono però un quadro molto diverso.
Filippo ha lavorato in Ikea nel 2015 con contratti in somministrazione in due diversi punti vendita di Roma: “Il primo contratto fu di un solo mese, successivamente sono stato chiamato per due giorni e poi con un altro contratto dal 1° giugno al 31 agosto. Il primo giorno di lavoro era un sabato e avevo il turno 13-22. Iniziai a lavorare al ristorante durante l’ora di punta, senza alcuna formazione e senza affiancamento. Ricordo ancora l’ansia”, racconta a Ilfattoquotidiano.it. “Noi interinali eravamo assunti per sostituire i colleghi interni in malattia o ferie e questo voleva dire che non potevamo rifiutarci di fare nulla, altrimenti non ci avrebbero più chiamati. Quindi turni da 12 ore con un’ora di pausa, disponibilità a lavorare anche in altri settori dello store. Dopo il 31 agosto non fui rinnovato e su 20 interinali ne assunsero solo una a tempo indeterminato”. Il 2015 è un anno non casuale: è quello in cui Ikea “decise di resettare il miglior contratto integrativo d’Italia”, raccontano a ilfattoquotidiano.it dalla Filcams Cgil di Firenze. Segna una sorta di spartiacque: come testimoniano moltissimi ex collaboratori e rappresentanti sindacali, è da quel momento la situazione è andata via via peggiorando. “L’unico obiettivo da qualche anno a questa parte è il taglio del costo del lavoro, il fine è di fatto il profitto a ogni costo”, è il giudizio di un delegato del sindacato Cub attivo nel punto vendita di Corsico.
Gli appalti alle cooperative per la manodopera – Nell’hub di Piacenza, il primo polo logistico d’Europa, 2 milioni di metri quadri, il fornitore unico di servizi di Ikea Italia è la Cooperativa San Martino. “Secondo il Ccnl logistica, le ore lavorate non possono essere più di 39 a settimana per un full time e non si possono fare più di 250 ore annuali di straordinario. In Cooperativa San Martino, però, c’è una grande percentuale di lavoratori assunti part-time con contratti da 30/32 ore a cui poi vengono richieste molte ore di straordinario. In più ci sono i lavoratori in somministrazione“, racconta a ilfattoquotidiano.it un delegato nazionale del comparto logistica di Unione Sindacale di Base. “Questi interinali dovrebbero essere alle dirette dipendenze di Ikea Italia, utilizzatore finale, ma l’agenzia di somministrazione ha sede dentro la Cooperativa San Martino. E non sono assunti solo nei momenti di picco d’attività, come prescriverebbe la legge, sono un elemento stabile dell’organizzazione aziendale“. Grazie a una causa patrocinata dallo studio Prolabor, sull’utilizzo di questi contratti è intervenuto recentemente il Tribunale di Piacenza dichiarandone in un caso l’irregolarità e imponendo la costituzione di un rapporto di lavoro stabile. “La Cooperativa San Martino utilizza, inoltre, alcuni escamotage del contratto della logistica per sostenere di non essere tenuta a pagare la quota di malattia che dovrebbe versare il datore di lavoro – continua il rappresentante Usb – Quando un lavoratore si ammala, l’azienda è tenuta a compartecipare al costo della malattia, ma la Cooperativa non lo fa, quindi il lavoratore percepisce solamente la parte dell’Inps. Recentemente una lavoratrice si è ammalata di Covid-19, ha fatto la quarantena e alla fine del mese ha portato a casa solo 600 euro. In questo modo, in sede d’appalto possono garantire che costano meno”.
Lo scorso 30 gennaio, la Cooperativa ha siglato un accordo integrativo con i sindacati minoritari Fit Cisl e Uiltrasporti comprendente, tra i vari punti, “la prosecuzione della trattativa per il riconoscimento dell’integrazione dell’indennità di malattia e per la struttura ed il riconoscimento del premio di risultato”. “Cisl e Uil hanno sottoscritto questo accordo che prevede il demansionamento dei lavoratori a tempo indeterminato mentre quelli a tempo determinato verranno lasciati a casa con la promessa che la San Martino se avrà bisogno concederà loro un diritto di precedenza nelle assunzioni”, commenta il delegato Usb. Formalmente, Ikea Italia sostiene che i propri fornitori sono tenuti a seguire “il nostro codice di condotta, che stabilisce i requisiti minimi a cui tutti i fornitori Ikea devono attenersi in materia di ambiente, impatto sociale e condizioni lavorative”.
“Assumono con contratti part-time da 20 ore, poi se ne fanno 40″ – Se queste sono le condizioni dei lavoratori assunti da uno dei maggiori collaboratori in appalto, è possibile che quelle dei dipendenti direttamente assunti dal colosso svedese siano differenti? Per alcuni, i lavoratori a tempo indeterminato, la risposta è sì. Ma per precari e stagisti sembrano essere ancor peggiori. “Ci hanno formato in una settimana e mezza e poi siamo stati buttati a gestire gli ordini. Se si facevano richieste di ferie o permessi storcevano molto il naso”, racconta Pamela, che ha lavorato per 6 mesi, dal luglio del 2020 a gennaio 2021, nel reparto che si occupava della gestione degli ordini, con un contratto a tempo determinato a scopo di inserimento. Una costante sembra essere il part time accompagnato dalla richiesta continua di straordinari. “Tante colleghe da anni chiedono un aumento delle ore e non riescono a ottenerlo”, racconta una delegata di Filcams Cgil di Firenze. “In compenso prendono tempi determinati a 20 ore a cui richiedono straordinari. Una ragazza assunta con contratto interinale a 20 ore a tempo determinato mi raccontò che quell’orario le andava benissimo perché frequentava l’università. Ma la richiesta effettiva era di 40 ore con gli straordinari”, cosa che lei non poteva fare. “Le dissi che non era obbligata, ma mi accorsi che questa era la prassi”. Dietro ci sono le cosiddette clausole di flessibilità. “Al momento dell’assunzione, Ikea mette davanti ai dipendenti il contratto di assunzione e a parte le clausole di flessibilità che, a fronte di dieci euro lordi al mese, permettono all’azienda di fare ciò che vuole degli orari”. Risultato: chi ha un part time da 20 ore non può trovare un altro lavoro perché i suoi turni possono cambiare da un momento all’altro. “Pochi lavoratori sanno di non essere obbligati a firmarlo e ancora meno hanno il coraggio di opporsi, dato che durante l’assunzione non hanno assistenza sindacale”, conferma a ilfattoquotidiano.it un rappresentante sindacale Cub del punto vendita di Corsico. La Flaica Cub chiede la cancellazione delle clausole.
Gli stagisti dal canto loro riferiscono di una forte pressione. “Una collega mi esortò a non sedermi in quanto i responsabili preferivano vederci in piedi, altrimenti i clienti avrebbero potuto infastidirsi”, ricorda Margherita, che era stata presa in stage per tre mesi in un negozio di Torino nel settore progettazione dell’area cucine ma subito spostata nell’area mercato dove “sostanzialmente avevo compiti da commessa, aiuto alla clientela e sistemazione dell’area e degli scaffali”. Poco tempo dopo, trovato un altro posto, ha lasciato. Linda ha avuto invece un’esperienza nell’area social del Customer care. “Ikea riceve giornalmente migliaia di commenti, messaggi privati a livello social e uno dei miei compiti era gestire questa mole di lavoro. Se il primo mese non soddisfacevi certe performance, diventava un problema”, racconta a ilfattoquotidiano.it. “Mi ero trasferita a Milano apposta e ho fatto i salti mortali per far quadrare i conti. Durante il lockdown sono stata rimandata a casa senza rimborso spese. Mi avevano fatto delle promesse, ma a fine stage mi dissero che avrei potuto solamente continuare a fare il customer care social con un contratto a tempo determinato, inizialmente di un mese”.
Il programma di riorganizzazione che elimina i capi reparto – Non va meglio ai dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato direttamente da Ikea Italia con i vecchi contratti ante-Jobs Act. A cavallo tra il 2019 e il 2020, nei soli punti vendita dell’area di Roma, Ikea ha implementato un programma sperimentale di riorganizzazione aziendale chiamato “Innovation for Growth”, annunciando la soppressione della figura del capo reparto di 1° e 2° livello e l’introduzione della nuova figura dei Team Leader. Attraverso una selezione interna a cui i dipendenti erano obbligati a partecipare, determinava il demansionamento o trasferimento presso punti vendita Ikea lontani centinaia di chilometri da casa dei lavoratori risultati inidonei. Il tutto senza mai presentare documentazione scritta comprovante il risultato della selezione. Tra i trasferiti anche un dipendente, caregiver, padre di due bambini e fruitore dei permessi della Legge 104 per assistere il padre malato, spostato dalla sede romana a quella di Casalecchio di Reno. Il tribunale di Roma, con ordinanza del 24 settembre 2019, ha rigettato il reclamo proposto da Ikea e disposto l’immediata riammissione in servizio presso la sede di appartenenza.
“Come mi hanno riferito le decine di dipendenti che ho patrocinato in contenzioso, il problema di Ikea in questo momento è la riduzione dei salari e dei costi. Gli stessi lavoratori hanno raccontato che da molti anni l’azienda punta a colpire chi aveva i primi o secondi livelli, soprattutto perché erano dipendenti ante-jobs Act e con salari più elevati. Nel 2019 Roma è stata una sorta di base sperimentale per “Innovation for Growth”. Ikea puntava ad applicare poi questo programma in tutta Italia, ma grazie alle cause vinte da noi è stato bloccato”, racconta a ilfattoquotidiano.it l’avvocato Michelangelo Salvagni, giuslavorista che contro i demansionamenti e trasferimenti irregolari ha ottenuto nel giro di pochi mesi quattro provvedimenti che hanno sancito l’illegittimità della condotta di Ikea Italia. Il Tribunale, dopo aver ascoltato i testimoni dipendenti Ikea, ha accertato la sostanziale equivalenza delle mansioni svolte dalla vecchia figura di caporeparto e ravvisato che “dall’istruttoria non è emerso in cosa esattamente la figura di Team-leader si differenziasse dal punto di vista contenutistico da quella di caporeparto”, puntualizzando che l’iniziativa lasciava “il dubbio che si sia trattato di un’operazione pretestuosa che mirava a spostare personale secondo criteri non oggettivi e trasparenti”.
La replica dell’azienda “I nostri co-worker alla base del successo” – Contattata da Ilfattoquotidiano.it in merito al comportamento delle aziende che collaborano attraverso contratti di appalto o forniture per conto terzi, Ikea Italia si è limitata a far sapere che “la scelta dei fornitori avviene attraverso uno scrupoloso processo di selezione che ha come obiettivo la creazione di un sistema di relazioni di lungo periodo basate sul rispetto dei nostri valori. Ecco perché abbiamo sviluppato IWAY, il codice di condotta a cui tutti i fornitori Ikea devono attenersi e che stabilisce alti standard di trattamento dei lavoratori e della catena del valore”. A domanda puntuale su quale posizione avessero rispetto alla questione del mancato pagamento della quota di malattia da parte della Cooperativa San Martino ai propri lavoratori, nessuna risposta. In merito, invece, alle condizioni di lavoro dei dipendenti diretti e stagisti in forza a Ikea Italia, l’azienda sostiene: “I co-worker di Ikea (così chiamiamo le persone che lavorano direttamente con noi) sono alla base del nostro successo. In termini di organizzazione del lavoro, mediamente durante l’anno l’80% dei quasi 7.500 co-worker Ikea ha un contratto a tempo indeterminato mentre le persone con contratto a tempo determinato e con contratto di somministrazione sono circa il 20%, una percentuale più bassa del limite posto dal CCNL (il 28%). Gli stage attivi sono un ulteriore 4% in aggiunta al totale dei collaboratori, con un tasso di conversione in contratti a tempo determinato o indeterminato che nell’anno fiscale 2021 (FY21) è stato del 50%. Sempre nel FY21 le assunzioni di persone con contratti a tempo determinato o indeterminato sono cresciute del 5% rispetto all’anno precedente”.
Riceviamo e pubblichiamo
Con riferimento all’articolo del 5 aprile scorso si precisa che:
l’affermazione “una grande percentuale di lavoratori assunti part-time con contratti da 30/32 ore vengono richieste molte ore di straordinario” è infondata in fatto.
L’affermazione secondo cui la scrivente non applicherebbe correttamente istituti quali l’indennità di malattia, è infondata;
in realtà, la scrivente garantisce ai propri soci la piena applicazione del CCNL Trasporti, specificamente nella sua sezione del settore cooperativo; applica un ulteriore, migliorativo, accordo di secondo livello sottoscritto con CGIL CISL UIL;
quanto ad una sola pronuncia del Tribunale di Piacenza, che avrebbe viste accolte le tesi sostenute da USB, manca ancora la motivazione, che la scrivente si riserva di impugnare, a fronte di altre pronunce che hanno deciso in senso difforme;
appare pretestuoso, e volto a suscitare nel lettore una mal riposta indignazione, il riferimento ad un singolo caso di un cedolino di una lavoratrice;
la considerazione non tiene conto che l’ importo netto della busta paga è la risultanza attiva e passiva di svariati elementi tra cui ritenute per finanziamenti richiesti dal lavoratore, che possono anche comportare notevoli differenze rispetto alla retribuzione dovuta;
infine, non possiamo condividere la deduzione secondo la quale l’accordo sottoscritto il 30 gennaio scorso legittimerebbe “un indiscriminato demansionamento” considerato che prevedeva, fra l’altro, “la prosecuzione della trattativa per il riconoscimento de/l’integrità della malattia ed anche del premio di risultato”. Al contrario, l’accordo tiene conto di una momentanea decrescita dei volumi situazione che è stata affrontata in contraddittorio e buona fede tra le parti, con l’obiettivo di preservare il più possibile i posti di lavoro.
Cooperativa San Martino s.c.r.l.
Il presidente
Mario Spezia
Ilfattoquotidiano.it prende atto delle precisazioni della cooperativa, peraltro non può non soffermarsi almeno su alcuni punti sollevati.
Riguardo alla quota di part-time – la smentita non viene sostenuta da dati fattuali. Se San Martino rispetta le percentuali contrattuali in relazione alla presenza di lavoratori part-time – e non ci sono ragioni per dubitarne -, a ilfatto.it risulta che ci sono parecchie decine di lavoratori a tempo parziale attualmente presenti nell’organizzazione aziendale.
Quanto alla questione del pagamento dell’indennità di malattia, l’articolo non sostiene mai che la cooperativa non applichi correttamente il contratto nazionale di categoria, ma piuttosto che, grazie all’interpretazione di alcune clausole previste proprio dal Ccnl, l’azienda sia in grado di proporre un prezzo competitivo.
Infine, sul caso della lavoratrice che ha percepito 600 euro causa quarantena da Covid-19 non retribuita, stando alle testimonianze raccolte da ilfattoquotidiano.it non risulta essere un caso isolato: altre vicende analoghe sono state segnalate da Usb e sindacati confederali, come hanno raccontato stampa locale e online. (c.m.)