Difese il diritto degli iracheni a resistere durante la guerra scatenata dagli Stati Uniti e adesso resta “coerente” mantenendo la stessa posizione per gli ucraini che hanno “diritto alla difesa e all’autodeterminazione come popolo, in coerenza con l’insegnamento di Lenin”. Mentre Vladimir Putin lo definisce un “Bonaparte reazionario ai vertici di un apparato statale verticalizzato, capo di una grande borghesia erede della grande burocrazia staliniana”. Marco Ferrando, fondatore del Partito comunista dei lavoratori, di ispirazione trozkista, finì al centro di una grande polemica perché affermò che gli iracheni aveva diritto alla resistenza. Parole che gli costarono l’esclusione dalle liste elettorali di Rifondazione comunista, all’epoca guidata da Fausto Bertinotti.
Adesso, di fronte all’invasione russa dell’Ucraina, in un’intervista solo online a La Repubblica, sposa la causa del popolo ucraino: “Anche gli ucraini hanno diritto alla difesa e all’autodeterminazione come popolo, in coerenza con l’insegnamento di Lenin”. In Parlamento “voteremmo no all’invio di armamenti, però il diritto a usarle c’è tutto”. Perché “la resistenza è tale se ha a disposizione delle armi, la mitologia assolutista della non violenza si pone al di fuori della realtà e della lotta tra oppressi e oppressori”. C’è, aggiunge, “un invio funzionale” affinché l’Ucraina “passi dall’influenza dell’imperialismo occidentale a quello russo, ma la Resistenza ha diritto a utilizzare ogni arma difensiva possibile. Poi ricordiamo che se ostacoli i bombardamenti o i carri armati le vite le salvi”.
Mentre Putin altro non è che “Bonaparte reazionario” ai vertici “di un apparato statale verticalizzato, capo di una grande borghesia erede della grande burocrazia staliniana”, che “ha dato vita a un gruppo monopolistico e capitalistico enorme”. La prova? “Le prime 15 imprese del Paese hanno in mano il 51 per cento del Pil”. Eppure, riflette Ferrando, nell’area della sinistra radicale c’è chi difende le ragioni della Russia. È quel fenomeno definito “rossobrunismo” di cui tanto si discute sui giornali: “Una realtà internazionale, che è esistito in Russia attorno all’esperienza di Limonov, esiste in Ucraina ai vertici delle repubbliche popolari soprattutto del Donbass, con Donetsk che mette fuorilegge cinque organizzazioni di sinistra, e anche di Lugansk. In Italia abbiamo il Partito comunista di Marco Rizzo, o ad esempio Patria socialista”, dice il fondatore del Partito comunista dei lavoratori.
Si tratta, spiega, di un “prodotto ibrido” frutto di un “arretramento generale del mondo operaio, ma pure un effetto di rimbalzo dell’avversione al capitalismo e all’imperialismo”. Si sviluppa, aggiunge, “come malapianta dal ceppo dello stalinismo e tutte le tendenze di questo tipo hanno il mito di Stalin”. E pur essendo un fenomeno “limitato” nella sinistra-sinistra ha una “fascinazione culturale” su “un bacino più esteso” nonché “una influenza indiretta” che “si esprime anche attraverso una sottovalutazione o una simpatia latente del putinismo”. Eppure sottolinea, il rossobrunismo è come se avesse rimosso “le ragioni pubbliche” della guerra scatenata da Mosca: “Putin in Russia l’ha presentato come un conflitto anticomunista, contro i bolscevichi, è curioso che oggi un comunista possa appoggiarla”, dice Ferrando.
Lo slogan “né con Putin né con la Nato” è “anche uno dei nostri” ma “non il solo”: “Russia e Nato si contendono il controllo imperialistico dell’Ucraina, seppur con metodi diversi, per noi quindi il né-né significa contrapposizione al potere capitalistico su entrambi i fronti”. Né, dice ancora Ferrando, “siamo a favore delle sanzioni perché sono un meccanismo di guerra all’interno di questo imperialismo che poi ricade soprattutto sulle popolazioni”. E quando gli viene chiesto visto che l’invasione è russa perché non ci si limiti a prendere le distanze da Mosca, Ferrando spiega: “Perché la Nato in mezzo c’è, le politiche del Fmi in Ucraina che hanno tagliato le spese sociali sono quelle di oppressione imperialistica occidentale. Se poi si aprisse un confronto aperto tra Nato e Russia, noi ci sposteremmo in una posizione di disfattismo bilaterale”.