La guerra è sempre una sconfitta. Non ci sono vinti né vincitori, non c’è democrazia, libertà o giustizia sotto le bombe. Quando parlano le armi, sono i popoli a pagare il prezzo più alto. Così è sempre stato e così sempre sarà, in ogni guerra. Muoiono civili inermi sotto le bombe di Putin come sotto quelle di tutte le guerre che anche le democrazie occidentali hanno combattuto in questi anni.

La guerra è questa cosa qui, è l’orrore dei cadaveri di Bucha come quelli di Srebrenica, le fosse comuni a Kherson come quelle di Sirte, il barbaro assedio di Mariupol come quello di Aleppo. Ma la guerra è anche la sconfitta della politica: quando non si riesce ad evitarla, come quando non si riesce a porvi fine. E quando accade significa che ci si è spinti troppo in là, che non si è stati capaci di prevenirla, di tenere aperto un dialogo, di tessere la tela delle relazioni tra Stati, di costruire partenariati e politiche di vicinato sufficientemente solidi, di mantenere la competizione di interessi legittimi nella misura di ciò che è lecito.

La pace è un valore, ma anche una politica che si costruisce nel tempo per prevenire i conflitti. E la si costruisce con la fatica del dialogo, della mediazione, del compromesso. Si fonda sulla giustizia sociale, sulla prosperità dei popoli, sull’inclusione sociale, su tutto quello che limita la crescita di sentimenti di rabbia sociale e frustrazione, di egoismi nazionali che sono fondamenta dei nazionalismi che si ripresentano oggi, sul palcoscenico della storia soffiando sul fuoco della guerra.

E’ un dato di fatto, acclarato, che le politiche vessatorie nei confronti della Germania dopo la prima guerra mondiale crearono le condizioni per l’ascesa del Nazismo in quel paese. Ma nessuno ha mai pensato che questo potesse cambiare il giudizio sull’orrore che quella ascesa ha determinato: così ora non possiamo dire di aver fatto, dalla caduta del muro ad oggi, tutto il possibile per includere la Russia in un processo di integrazione con l’Europa. Al contrario abbiamo legittimato e purtroppo incensato come statista un nazionalista con manie di grandezza come Putin. Anche questo non cambia il giudizio che abbiamo il dovere di esprimere sull’orrore di questa folle guerra di aggressione che Putin ha scatenato.

Le immagini di intere città assediate e rase al suolo, di bombardamenti a tappeto su ospedali, scuole e rifugi, delle deportazioni di civili in Russia, dell’utilizzo di bombe a grappolo e missili termobarici, di tutte le armi ad alto impatto distruttivo sui centri abitati e infine le terribili e più recenti immagini di Bucha che in queste ore ci stanno sconvolgendo ci riportano a una guerra di stampo medievale in cui non vale nessuna regola e in cui l’umanità lascia ferocemente il passo alla barbarie. Anche per questa ragione, in questo conflitto, non possiamo permetterci di essere neutrali. C’è un aggressore e c’è un aggredito, c’è una vittima e un carnefice e noi abbiamo il dovere di schierarci al fianco di chi oggi combatte per difendere la propria libertà, la democrazia e l’integrità territoriale del proprio paese.

Ma non dobbiamo fare l’errore di considerare questa guerra come le altre, alla stregua di un conflitto per una disputa territoriale il cui fine è semplice mira espansionistica. Questa guerra ha confini più larghi, si configura come sfida alle democrazie occidentali, una sfida per definire nuovi equilibri geopolitici regolati dalla legge del più forte e non del diritto internazionale. E’ per questo che l’Europa è chiamata oggi alla sua sfida più difficile da quando è nata: difendere la pace e la democrazia pagate a caro prezzo nel secolo scorso dai suoi popoli. Oggi, che la guerra si ripresenta così vicina e così brutale nel cuore del vecchio continente.

E per farlo serve coraggio, determinazione, intraprendenza. Il coraggio di nascere davvero come entità statuale rivedendo i trattati in particolare sul processo decisionale tra gli Stati membri, costruendo un esercito europeo a cui integrare quelli esistenti senza cadere nella tentazione di una corsa agli armamenti dei singoli Stati, ovvero scegliendo di mettere in campo, per la prima volta, una vera politica estera che – sempre nel quadro dell’Alleanza Atlantica – sappia marcare la propria autonomia e il proprio profilo politico.

Ora serve la determinazione a non fare passi indietro spinti dall’orrore di questo conflitto, a non cedere al ricatto dei nostri errori sapendo che momenti così difficili richiedono scelte che sembrano spaventose. E’ necessario interrompere adesso l’approvvigionamento di gas e petrolio dalla Russia: si tratta di un prezzo altissimo per i popoli europei ma l’unico che, se saremo capaci di pagare, potrebbe porre fine a questa guerra tagliando concretamente le linee di finanziamento.

Sappiamo che se non fermiamo questa guerra adesso, presto o tardi ce la ritroveremo dentro casa spinta dai semi dell’odio che si stanno diffondendo con conseguenze imprevedibili per l’intera umanità. Allora la domanda che dobbiamo porci è: a cosa siamo disposti a rinunciare per difendere i valori in cui crediamo, su cui si fondano le nostre democrazie? E cosa per impedire una nuova guerra mondiale? L’Europa nascerà se saprà guardare al futuro partendo dalla sua storia. Non solo l’Ucraina, ma anche i Balcani Occidentali e in prospettiva la stessa Russia dovrebbero far parte di un processo di integrazione per garantire un nuovo ordine globale fondato sulla pace, la stabilità e la convivenza pacifica tra i popoli attraverso cui preparare l’umanità del futuro.

In un “mondo così grande e terribile” gli Stati Uniti d’Europa non sono più soltanto un’utopia, ma una necessità storica. Saremo all’altezza della nostra storia?

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