“Nella sfortuna per la mia disabilità, mi sento fortunato, perché rispettando la stessa sentenza ho tutti i requisiti richiesti, ovvero sono affetto da una malattia irreversibile, sono tenuto in vita da sostegni vitali, sono pienamente cosciente e capace di intendere e volere e infine soffro di dolori fisici e/o psicologici ed ora potrò finalmente porre fine alle mie sofferenze nel mio Paese, vicino ai miei cari premendo quel bottone, e mi sto organizzando con la dovuta calma affinché questo accada”, comincia così la lettera di Mario, 43 anni tetraplegico marchigiano. È stato il primo italiano a ottenere il via libera al suicidio medicalmente assistito, secondo quanto stabilito dalla Consulta con la sentenza sul caso Cappato\Dj Fabo. Ha lanciato un appello durante il seminario organizzato dall’Associazione Luca Coscioni che si è tenuto in mattinata: “Lo so che il tema del fine vita è un tema complicato da affrontare, e a qualcuno può non piacere, ma se si vuole fare una legge penso vada fatta in modo migliore, non peggiorando e complicando le cose. Leggo che ora la legge chiede la necessità di verificare anche sofferenze psicologiche oltre a quelle fisiche, e questo potrebbe escludere tanti malati che sono nelle mie stesse condizioni dalla possibilità di una morte assistita. Ognuno di noi sceglierà cosa ritiene opportuno fare, e non ci devono essere discriminazioni fra malati”.
Il testo di legge sul suicidio assistito è stato approvato alla Camera e ora è in attesa di essere discusso al Senato. Mario prosegue: “Io sono tetraplegico, e quindi non è una malattia terminale ma purtroppo incurabile, con un costante e lento peggioramento che può farmi vivere anche 20, 30, 40 anni, e chi può dirmi e costringermi a continuare a soffrire subendo torture quotidianamente sul mio corpo. Per quanto riguarda i dolori fisici e psichici, è molto difficile dare valutazioni a riguardo, perché ognuno di noi ha una soglia del dolore diverso dall’altro: nel mio caso io non sto urlando dai dolori, e non sto piangendo per la mia disabilità, perché forse ho una tolleranza alta della sofferenza”. E racconta che “la relazione sul mio stato psicologico è stata molto positiva. I medici e gli psicologi hanno constatato che non ho disagi psichici e sono una persona serena. Quando ci si confronta con malati gravi bisogna avere rispetto e ascoltare le loro sofferenze e la loro dignità, e nessuno può dire “te, per noi, non stai troppo male fisicamente e mentalmente”.
Lo stesso appello arriva da Laura Santi, 47 anni affetta da sclerosi multipla grave, con un messaggio video: “Io non voglio che la mia malattia diventi un fine pena mai. Questo testo di legge, così com’è, discrimina tantissime persone. Quindi faccio un appello a rivedere questo testo e a renderlo più inclusivo. Il testo presuppone la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale per poter avere l’aiuto a morire. Quindi io non potrei mai avere questo diritto perché per definizione, anche quando mi aggraverò, non sarò mai attaccata ad una macchina”.
“Se il testo all’esame del Senato fosse approvato senza modifiche, la palese discriminazione tra malati in base al loro stato, alla condizione in cui si trovano, nella loro piena capacità di scelta, porterà a nuove azioni nei tribunali per il rispetto delle scelte di persone che godono di protezione costituzionale nel rispetto del principio di uguaglianza che è violato da questa norma che è all’esame del Senato”, hanno dichiarato Filomena Gallo e Marco Cappato, rispettivamente segretario nazionale e Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. “È arrivato il tempo che un legislatore rispettoso della Costituzione e della volontà cittadini del paese che vuole governare, emani una legge che sia per tutti coloro che vogliono scegliere il proprio fine vita”.