di Paolo Bagnoli

Dopo tanto argomentare di campi larghi e di intese strategiche tra il Pd e i 5Stelle, talora con l’indicazione di Giuseppe Conte quale novello Romano Prodi alla guida di un’intesa vincente alle prossime elezioni, le chiacchiere si sono dimostrate per quello sono, ossia blaterare politicistico per il semplice motivo che due formazioni senza identità non possono dar vita a una coalizione con un profilo di una qualche affidabile credibilità.

Il Pd è un partito – il termine è improprio, ma tanto per capirci – che riesce a stare insieme come una barca capace di navigare solo dentro il porto. Nello specifico quello del governo e che vede, con terrore esistenziale, la prospettiva di dovere essere sospinta dalle urne in mare aperto priva com’è di ogni bussola di orientamento e di una classe politica all’altezza del proprio compito. Il Movimento 5Stelle vive una indecorosa decadenza stretto tra la propria nullità di merito politico e il risentimento di Giuseppe Conte che, per il fatto di essere stato due volte presidente del consiglio, continua a considerare il non esserlo più alla stregua di un affronto personale.

Che una realtà come i 5Stelle non sia se non quanto rimane di un sogno sbagliato e che gruppi parlamentari agitati e confusi, fatti da gente che con la politica e le istituzioni non hanno niente da spartire dopo essere passati disinvoltamente da una posizione all’altra – solo di Roberto Fico si continua a dire che è un “ortodosso” senza capire di cosa, il che è al di là di ogni possibile ridicolaggine – abbiano come leader un personaggio tanto negato alla politica quanto vocato al potere quale Giuseppe Conte delinea bene la condizione in cui si trovano. Conte, che passerà alla storia se non altro per aver fatto sbiancare, in fatto di trasformismo, il povero Agostino Depretis, la dice lunga e bene su cosa a oggi siano ridotti i 5 Stelle, ma, di riflesso da uno specchio capovolto, anche a cosa siano ridotti i democratici che, per recuperare un minimo, solo un minimo di credibilità, dovrebbero liberare le loro sorti dal grillismo con buona pace di Goffredo Bettini, raffinato pensatore del nullismo strategico.

Conte si fa forte – e vai avanti tu che a me vien da ridere! – di essere stato riconfermato alla testa del Movimento con un’alta percentuale di consensi; di buona grazia, era l’unico candidato e ha votato la metà degli iscritti. Così, per avere peso in una formazione in piena disgregazione, fa la voce grossa, si agita, va da Draghi per suonargliele quattro e ne esce avendone prese otto; sogna la crisi di governo, ma se così fosse non riuscirebbe a spodestare Draghi da Palazzo Chigi e, sicuramente, spaccherebbe quello che resta di coloro che volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno! Conte, dal terreno della politica cui l’aveva messo Bettini prevedendo un campo largo, sta transitando in quello della farsa, ma con ciò rende più difficile, complicato e confuso il quadro politico e la vita del governo il quale, oggettivamente, batte il passo e l’iniziale spinta propulsiva rappresentata da Mario Draghi sembra essersi assai affievolita.

Povero Draghi, cui in ogni modo dobbiamo essere grati per cercare di salvare il salvabile di un Paese che si sfarina progressivamente, essendosi trovato a lavorare, tra l’altro, in un commissariamento del governo con due partiti che erano anche filo Putin, come la Lega e i 5Stelle. Lo notiamo, così, a mo’ di companatico.

Via via che i mesi corrono la situazione politica si attorciglia sempre più su se stessa. Solo il riferimento all’Europa sembra essere la chiave per ogni via d’uscita. E poi c’è la guerra. Così sia, ma le scappatoie da “tre soldi per dozzina”, direbbe il Giusti, alla fine emergono. Ed emergeranno. Europa Europa, va bene. Ci domandiamo, tuttavia, se i soldi per il Pnrr sono stati dati per ripianare i debiti dei Comuni e costruire nuovi stadi di calcio oppure per altro. Al momento nessuno dice nulla; il vero campo largo è quello nel quale si sta perdendo la democrazia repubblicana.

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