“Bisogna salvare la magistratura da se stessa”. Ah, la Magistratura, questo terribile oggetto! Maneggiare con cura. Se l’appello viene da Giovanni Melillo, Procuratore della Repubblica di Napoli, la cosa è da prendere molto, molto sul serio. Lui che è entrato nel pianeta/giustizia ai tempi della P2 proprio quando illustri magistrati (e non solo) erano coinvolti nella madre di tutti gli scandali.
Siamo alla presentazione del pamphlet di Luciano Violante, dal curriculum infinito (ex magistrato, accademico, parlamentare, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia e Presidente della Camera) e saggista. Il titolo esortativo Senza vendette, è un dialogo, denso e compatto con Stefano Folli, ex direttore del Corriere della Sera (Il Mulino). A volte diventa un duello di parole.
Attraversando l’intera storia repubblicana, il libro propone la ricostruzione del travagliato rapporto fra politica e giustizia. In una situazione segnata dalla trasformazione di circuiti politici chiusi in se stessi che finiscono per diventare tecnocrazie autoreferenziali, che corrodono la democrazia in tecnocrazie autoreferenziali. Violante si interroga su come ricostruire la fiducia tra magistrati, politici e cittadini:
“Ordinamento giuridico e politico confinano: all’arretramento dell’uno corrisponde l’avanzamento dell’altro. La stagione di Mani pulite e delle stragi di Palermo segna l’apice di uno squilibrio tra giustizia e politica. Nella crisi susseguitasi a quella destabilizzazione la dimensione del potere ha prevaricato quella del servizio. L’intreccio tra regole confuse, prassi arbitrarie, apatie professionali e insipienze politiche ha generato un inaccettabile disordine normativo che oggi fa barcollare il sistema giudiziario, rendendolo privo di legittimazione”.
Una platea gremita di giuristi e accademici tra cui il professore Alberto Lucarelli (Populismi e rappresentanza democratica, il suo ultimo saggio) nel salone affrescato dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. E la parola passa alla “toga d’oro”, eccellenza del foro non solo napoletano, Vincenzo Siniscalchi, 91 anni: “Oggi alla crisi sostanziale della democrazia si aggiunge quella della magistratura. Perché la crisi di affidabilità innesca pericolose dinamiche a catena”. E invoca un nuovo ordine di giustizia. Costruire un nuovo equilibrio fra politica e magistratura. Devono dialogare fra di loro, non sottomettersi una all’altra. Altrimenti si va a finire alla battutaccia che circolava ai ai tempi di Mani Pulite: “Non esistono imputati innocenti, ma solo giudici maldestri”. Come ricorda Siniscalchi.
“Ma prima bisogna fronteggiare due debolezze: ignoranza e spirito di vendetta – interviene Melillo – Perché entrambe nuocciono solo ai cittadini. Bisogna tutelare loro prima di tutto”.
Un’altra riflessione viene dal penalista e presidente Premio Napoli, Domenico Ciruzzi, dall’impeccabile ars oratoria: “Le disfunzioni non riguardano solo il processo d’interazione tra media e pm. Urge un potenziamento culturale del giudicante che rischia di trasformarsi in un mero burocrate, sempre più spesso incapace di esercitare un vaglio critico sugli assunti accusatori”. Mentre Walter Esposito, 83 anni, avvocato di lungo corso che ha passato al setaccio un intero mondo di farabuttismo dilagante si schiera contro la lungaggine dei processi: “La pena deve essere anche piccola ma immediata, come scriveva Cesare Beccaria nei “Dei delitti e delle Pene”. Perché a Napoli il carcere non spaventa più di tanto: tanto se magna e se duorm gratis”. E si cementano relazioni del malaffare.
Chi scrive da quando si è avventurata con il marito tedesco nella ristrutturazione di una casetta per i figli entrambi si sono imbattuti in minacce, insulti, lavori non eseguiti e sopratutto totale mancanza di fattura. Da fare rimpiangere la Grande Germania.
Il cialtronismo è ancestrale nella nostra città, talmente radicato nel tessuto sociale che viene però tacitamente accettato da tutti. Nel superbonus, altro che manna dal cielo, si sta già inserendo la camorra: il “Prendo casa al Sud”, che voleva anche diventare un format televisivo, si è trasformato nel peggiore degli incubi. Aspettando il referendum del 12 giugno e la sempre invocata riforma sulla giustizia.