Tra le esperienze più affascinanti nel lavoro di un libraio vi è sicuramente la possibilità di avere a che fare coi libri usati. Escono da case in cui sono stati ospiti poche settimane o per decenni e arrivano sul bancone per essere valutati, riaperti e scrutati. A volte vi si trovano dentro foto antiche, altre segnalibri, biglietti del treno, dediche ad amori svaniti. Mappe del tesoro? Quelle mai. Insegnamenti invece sì.

Raramente ho il tempo di leggere questi libri, dovendo stare al passo con le novità. Ma qualche tempo fa sono entrato in possesso di un libro di Asimov che non conoscevo e non ho resistito alla curiosità. Si tratta di Neanche gli dei, un romanzo del 1972, pubblicato dopo molti anni in cui il più grande scrittore di fantascienza di tutti i tempi si era dedicato esclusivamente alla divulgazione scientifica, e subito vincitore del Premio Nebula e dell’Hugo. Ovviamente il libro è eccezionale e, come tutti i romanzi di Asimov, presenta una certa serie di elementi che lo caratterizzano come non adeguato a una versione spettacolarizzata.

Asimov infatti non è mai stato interessato a piacere, a costruire trame fitte di colpi di scena o momenti di azione vibrante. Il suo obiettivo era farsi capire e, per un divulgatore capace di scrivere oltre 500 opere tra racconti, saggi e testi su temi scientifici, gli argomenti non potevano essere banali. Per questo, a differenza di molti altri scrittori di fantascienza, il suo contributo all’industria del cinema non è stato determinante. Pochissimi infatti sono i film tratti dalle opere di Asimov e, di questi, quasi nessuno può considerarsi un successo al botteghino. L’uomo bicentenario o Io, robot ad esempio, oltre a non essere perfettamente fedeli alle versioni letterarie, non vengono certo ricordate come opere indimenticabili. Il motivo sta proprio nel fatto che il grande scrittore russo naturalizzato americano non aveva alcun interesse ad affabulare con espedienti avvolgenti: il suo obiettivo era spiegare e far comprendere un tema, per mezzo di trame spesso lineari ma complesse nei contenuti, in cui raramente ai personaggi veniva dedicato lo spazio necessario a un approfondimento psicologico o empatico.

Neanche gli dei, da lui indicato come il suo romanzo preferito, non fa eccezione. Anzi, è forse ancora più complesso, per certi versi perfino noioso rispetto ai più famosi, eppure è perfettamente adeguato a contestualizzare il nostro tempo. Un tempo confuso, difficile, in trasformazione verso un nuovo futuro incerto. La storia, divisa in tre parti, narra di come, dopo un collasso ecologico che ha radicalmente ridotto il numero di abitanti sul nostro pianeta, uno scienziato scopra casualmente la possibilità di far entrare la razza umana in una nuova era di prosperità grazie a una fonte energetica pulita e inesauribile ottenuta tramite uno scambio isotopico tra il nostro universo e un altro parallelo.

Inutile l’allarme lanciato da un fisico scettico che, dopo alcune verifiche, si rende conto che questo scambio altera la struttura fisica del nostro mondo, con un processo inizialmente lento ma esponenziale, che porterà alla trasformazione del nostro Sole in una supernova, e quindi alla fine del nostro sistema solare. I vantaggi sono troppo grandi e nessuno vuole rinunciarvi per un allarme ritenuto infondato. Un po’ come sta succedendo per i cambiamenti climatici.

Nella seconda parte Asimov descrive la razza aliena che ha organizzato questa specie di trappola e che si ritrova a valutare l’inutilità di un intervento perché priva di fiducia sulle capacità cognitive della nostra specie. Nella terza ci troviamo sulla Luna, alcuni decenni dopo i fatti della prima parte. Qui un gruppo di scienziati si rende conto che, per scongiurare il pericolo mantenendo i vantaggi, è necessario coinvolgere un terzo universo, così da rimettere in equilibrio gli scambi avvenuti nei primi due. La catastrofe viene così scongiurata giusto in tempo.

In questo romanzo la scienza, che precedentemente aveva avuto quasi sempre un ruolo positivo nelle speculazioni asimoviane, si ritrova sfruttata per gretti egoismi e distorta verso fini infami, per colpa di una sostanziale stupidità di fondo della nostra specie, di fronte alla quale l’autore, citando Schiller, sostiene che neanche gli dei possano nulla.

Sono passati trent’anni dalla scomparsa di Asimov e il suo pensiero si rivela ancora anticipatore e illuminante. Alcune sue considerazioni come “La stranezza è nella mente di chi la percepisce”, “La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci”, “Non c’è bisogno di viaggiare nel tempo per essere degli storici” o “Se la conoscenza può creare dei problemi, non è con l’ignoranza che possiamo risolverli” sembrano commenti ai fatti della nostra quotidianità. Ammonimenti che, in una società che sembra avere azzerato il tempo di riflessione sulle conseguenze di parole e azioni, si sta trasformando, per mezzo dei social, nel palcoscenico di un conflitto costante, su qualunque argomento.

Riusciremo a divenire capaci di gestire questa Babele comunicativa in cui ormai sembra lecito poter diffidare di ogni evidenza? Se la parabola speculativa di Asimov finisce per sposare una visione cinica e disincantata sulle potenzialità della nostra specie, vale la pena avere fiducia nel futuro? Speriamo nel messaggio nascosto in un prossimo libro usato.

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