Lo sdegno mondiale provocato dalla tragedia dell'Olocausto, però, non ha impedito che nel Dopoguerra venissero compiuti nuovi massacri indiscriminati ai danni della popolazione inerme. Dal massacro di My Lai ad opera dei soldati americani in Vietnam a quello di Srebrenica commesso dalle truppe serbo-bosniache, ecco alcuni degli episodi più drammatici
La storia europea è costellata di massacri commessi da eserciti o milizie paramilitari ai danni di civili. Solo in Italia, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, si ricordano tra gli altri l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema o quello delle Fosse Ardeatine, nel Vecchio Continente quelli nel ghetto di Varsavia o la Notte dei Cristalli in tutta la Germania nazista. Lo sdegno mondiale provocato dalla tragedia dell’Olocausto, però, non ha impedito che nel Dopoguerra venissero compiuti nuovi massacri indiscriminati ai danni della popolazione inerme. Eccidi che assomigliano tutti a quello di Bucha, ma che, nonostante siano rimasti vividi nell’immaginario collettivo, non sempre sono riusciti a imprimere un cambio di rotta ai conflitti o a favorire un cessate il fuoco. Dal massacro di My Lai ad opera dei soldati americani in Vietnam a quello di Srebrenica commesso dalle truppe serbo-bosniache, ecco alcuni degli episodi più drammatici che hanno fatto la storia delle guerre dal Dopoguerra ad oggi.
MASSACRO DI MY LAI (VIETNAM, 1968) – La Guerra del Vietnam era ormai agli sgoccioli, gli Stati Uniti e i suoi alleati l’avevano persa. E già lo sapevano. Il 16 marzo 1968 i soldati americani si resero protagonisti di uno dei massacri ai danni della popolazione civile inerme più sanguinosi della loro storia recente. A My Lai, una frazione del villaggio di Son My, nel Vietnam centro-meridionale, i militari di Washington, in seguito a uno scontro a fuoco con truppe di Viet Cong, si scagliarono contro la popolazione rendendosi protagonisti di torture e uccisioni di massa indiscriminate nei confronti di uomini, donne, anziani e bambini. Nessuno venne risparmiato, fino a quando a intervenire fu proprio l’equipaggio di un elicottero americano in ricognizione che si mise tra i carnefici e le loro vittime, puntando i mitra contro i compagni in armi e minacciandoli di aprire il fuoco se non avessero messo fine al massacro. Secondo quanto ricostruito, con questo intervento i membri dell’esercito Usa riuscirono a salvare la vita a 11 persone, ma sul terreno rimasero 504 vittime innocenti.
Le indagini sull’eccidio di My Lai vennero condotte da un giovane Colin Powell, poi diventato noto al mondo da Segretario di Stato americano quando mostrò all’Onu le false prove del possesso di armi chimiche da parte di Saddam Hussein, ma non portarono a nessun risultato concreto. Anzi, tornando in patria sostenne che non esisteva alcun problema nelle relazioni tra i militari americani e i civili vietnamiti. Una versione che sarà poi sconfessata da una successiva inchiesta del giornalista premio Pulitzer, Seymour Hersh, che svelò al mondo la verità su quel genocidio.
MASSACRO DI SABRA E SHATILA (LIBANO, 1982) – La notte del 16 settembre 1982, il cielo di Beirut sopra i campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila vennero illuminati a giorno dai bengala dell’esercito israeliano che circondava le enormi tendopoli. Stavano aprendo la strada alle milizie falangiste affamate di vendetta dopo l’attentato al presidente del Libano e loro leader, Bashir Gemayel, compiuto dai servizi segreti siriani in collaborazione con le milizie palestinesi. Da giorni il ministro della Difesa di Tel Aviv, Ariel Sharon, denunciava la presenza di 2mila combattenti fedeli a Yasser Arafat rimasti nel Paese dopo il ritiro definitivo annunciato all’inizio di settembre, in piena guerra civile libanese. Le truppe israeliane, così, accerchiarono i campi profughi poco dopo la partenza degli eserciti occidentali, mentre le Falangi si stabilirono nelle aree immediatamente adiacenti. L’uccisione di Gemayel fece esplodere la furia dei suoi seguaci, in una situazione già ad altissima tensione.
La sera del 16 settembre le milizie entrarono nei campi profughi palestinesi e ne uscirono solo al mattino del 18. In mezzo ci furono le donne violentate, i ventri squarciati di quelle incinte, i bambini seviziati a morte e centinaia di giovani e anziani giustiziati, con i loro corpi accatastati in montagne di carne umana o sparsi per le vie dei due campi. Sul terreno rimase un numero imprecisato di vittime palestinesi innocenti: alcune stime parlano di 700, altre arrivano addirittura a 3.500. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite definì il massacro “un atto di genocidio”. La successiva commissione Kahan riconobbe la diretta responsabilità delle Falangi libanesi e quella indiretta, elemento che provocò non poche critiche, dell’esercito israeliano, del primo ministro Menachem Begin, del ministro della Difesa Sharon e del Capo di Stato Maggiore Rafael Eitan.
MASSACRO DI MURAMBI (RWANDA, 1994) – Quello del Rwanda perpetrato dai gruppi armati di etnia Hutu ai danni dei Tutsi rimane uno dei genocidi più sanguinosi ed efferati della storia recente. Tanto da richiedere l’istituzione di un Tribunale speciale che indaghi sui crimini commessi in quei tre mesi tra la primavera e l’estate del 1994. Il numero di morti è praticamente incalcolabile, si stima siano tra i 500mila e oltre 1 milione, e la furia della violenza etnica non ha risparmiato nessuno: uomini, donne, anziani e bambini sono stati torturati, stuprati e trucidati senza pietà. Se in un evento così grave si può ritrovare un fatto emblematico, quello è il massacro alla scuola di Murambi, il 21 aprile 1994. Un episodio così grave che sul posto è stato anche costruito, in occasione del primo anniversario, un Memoriale che ricorda le circa 65mila vittime dell’eccidio.
Mentre le operazioni di pulizia etnica in corso dall’aprile dello stesso anno si stavano spostando verso l’area meridionale del Rwanda, 65mila civili di etnia Tutsi cercarono riparo nella chiesa locale. Ma furono il vescovo e il sindaco in persona ad attirarli in una trappola: dissero loro che il posto più sicuro dove recarsi era l’istituto che sorgeva poco lontano da lì. Mandarono 65mila persone al massacro. Una volta arrivati, infatti, i civili non trovarono acqua e cibo proprio per limitare le loro forze e impedirne la resistenza. Per qualche giorno fronteggiarono le milizie hutu, ben armate, solo con bastoni e pietre, ma il 21 aprile dovettero arrendersi alla superiorità militare degli avversari. In 20mila furono uccisi in quell’occasione, mentre altri, che riuscirono a fuggire, vennero sterminati nei giorni seguenti. Un numero talmente elevato di morti in un’area così ristretta e in così poco tempo che, secondo la ricostruzione del Memoriale, i soldati francesi scomparsi dall’area per qualche giorno dovettero utilizzare dei bulldozer per scavare fosse comuni dove gettare i corpi. Su 65mila persone, solo 34 sono sopravvissute al massacro di Murambi.
MASSACRO DI SREBRENICA (BOSNIA-ERZEGOVINA, 1995) – Uno dei massacri più sanguinosi della storia recente è certamente quello di Srebrenica, avvenuto nel luglio del 1995. In quelle settimane durante le quali si stava assistendo alla dissoluzione della Jugoslavia, l’allora esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina guidato dal Macellaio Ratko Mladic fece irruzione nella piccola cittadina bosniaca, dichiarata zona protetta dai Caschi Blu dell’Onu come le città di Sarajevo, Tuzla, Žepa, Goražde e Bihać. Nonostante l’impegno delle forze di peacekeeping delle Nazioni Unite, in quell’occasione in mano a un contingente di 600 militari olandesi che decisero di non intervenire di fronte all’avanzata degli uomini di Mladic perché “scarsamente equipaggiati”, le truppe serbe riuscirono a entrare in pochi giorni nella cittadina bosniaca e a giustiziare migliaia di civili innocenti. Sono oltre 8.300 le persone che risultano scomparse, ma oggi, a 27 anni di distanza, solo 6.900 sono state ritrovate.
Quella di Srebrenica è una strage che non è rimasta totalmente impunita. Il Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia ha condannato Mladic, in carcere dal 2011, all’ergastolo in quanto responsabile dell’assedio di Sarajevo e di quello che è il più grande genocidio commesso in Europa dal Dopoguerra. Come lui, i giudici internazionali condannarono anche l’allora presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, Radovan Karadzic, per genocidio. I tribunali nazionali olandesi, inoltre, hanno condannato lo Stato per responsabilità indirette nei fatti di Srebrenica, anche se una serie di sentenze al ribasso hanno portato a un riconoscimento solo parziale delle colpe.