“Preferiamo la pace o il condizionatore acceso? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre”. Lo ha detto il premier Mario Draghi in conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri, rispondendo alla domande del cronista de il Fatto Quotidiano. Facile come bere un bicchier d’acqua, le parole del presidente del Consiglio sono ad effetto ma mancano il bersaglio della realtà. Verosimilmente chiunque, tanto più nella più fresca Germania, sarebbe pronto a barattare qualche giorno di calura con la fine del conflitto. Nei paesi europei il consumo di gas è riconducibile più o meno a pari misura a famiglie e industrie. Per quanto concerne l’elettricità, che in Italia viene prodotta al 45% da centrali che funzionano con il gas, l’industria assorbe un terzo della produzione, più delle utenze domestiche. Il problema è quindi che interrompere bruscamente le forniture di gas russo significa causare contraccolpi severi agli apparati produttivi delle nazioni coinvolte. Quindi rallentamenti dell’industria, frenata dell’economia e conseguenti ricadute occupazionali. Ammesso che azzerare gli acquisti dalla Russia sia davvero il modo per avvicinarsi alla pace, cosa non così scontata, tutto si può fare e può valere la pena di farlo, ma non è con capi di governo che dipingono una realtà edulcorata che si può affrontare una situazione complessa come quella attuale. Mentre va di moda accostare i protagonisti dell’oggi a figure del passato vale forse ricordare la massima di Winston Chruchill: “fidati della gente”. Il premier britannico certo non mascherò al popolo britannico quelle che sarebbero state le conseguenze del conflitto.
Draghi ha premesso: “Andiamo con l’Ue, se ci propone l’embargo sul gas, siamo contenti di seguire. Quello che vogliamo è lo strumento più efficace per la pace. Ci chiediamo se il prezzo del gas può essere scambiato con la pace”. La formula è desolante anche se forse male espressa. La terza economia dell’area va al traino e accetta supinamente. L’Italia, come la Germania, è uno dei paesi che più dipende dal gas russo che copre circa il 40% del fabbisogno nazionale. Secondo alcune simulazioni riportate dal Financial Times, il nostro è il paese che più avrebbe da perdere in termini di crescita economica da uno stop delle fonti energetiche russe. In questi giorni si sono susseguite dichiarazioni di esponenti politici italiani a mezzo Twitter in cui si auspicava lo stop agli acquisti di gas russo. Molti arrivati quando era già chiaro che il paese chiave, la Germania, si sarebbe opposto. Berlino ha però il merito di dirlo chiaramente: vorrebbe ma non può. Noi facciamo finta di potere finché sappiamo che tanto non succederà. Se siamo così convinti perché non spendersi a Bruxelles invece di “essere contenti di seguire”?
“L’embargo del gas non è ancora e non so se sarà mai sul tavolo ma quanto più diventa orrenda la guerra tanto più i paesi alleati in assenza di una diretta partecipazione alla guerra si chiedono cosa può fare questa colizione per indebolire la Russia e farla smettere e permettere a Kiev di sedersi al tavolo della pace“. Lo dice il premier Mario Draghi in conferenza stampa al termine del Cdm, sottolineando come la “situazione sia in divenire” e come dunque l’embargo del gas non sia “un’ipotesi al momento oggetto di discussione per cui la situazione sta modificandosi”. In ogni caso Draghi non vede grandi pericoli nel futuro prossimo. Anche senza il gas russo “fino a fine ottobre siamo coperti, le conseguenze non le vedremmo fino all’autunno”.
Questo è vero, se si arriverà a razionamenti questo accadrà dopo l’estate. Ma è nei mesi più caldi che si rimpinguano le riserve che servono ad affrontare la stagione fredda con maggiore tranquillità. Al momento di reali alternative se ne vedono poche. Gli Stati Uniti forniranno all’Europa 15 miliardi di metri cubi aggiuntivi di gas liquido via nave all’anno. Ma è poca cosa, circa il 10% del gas fornito dalla Russia. Dall’ Algeria, nostro secondo fornitore, si può “spremere” qualcosa di più ma parliamo di 2 miliardi di mc nell’immediato e altri 3-4 miliardi nel medio termine. Questo a fronte di un consumo nazionale di 80 miliardi di mc l’anno, quaranta dei quali garantiti da Mosca. Come sa bene Eni, controllata al 30% del ministero del Tesoro, che anche grazie ai flussi russi sta facendo utili record. In ogni caso, ha rassicurato Draghi, nel Documento di economia e finanza (Def) presentato oggi sono previsti scenari di rischio in caso di interruzione delle forniture da parte di Mosca.