Il paradosso della Siria è che oggi la si racconta tramite l’Ucraina. Cerchiamo un’indignazione mancata attraverso il parallelismo della tragedia. Il carnefice è lo stesso, le vittime sono differenti. E’ tutto già visto. Bucha, località che fino a due giorni fa ci era sconosciuta, è oggi simbolo di una barbarie che colpisce il mondo con il peso di quei corpi gettati lungo una strada. Le mani legate dietro la schiena e il foro di proiettile su ognuno di loro, a testimoniare una esecuzione che ha il sapore di una vendetta portata a termine dai russi.
In più, per quei corpi, c’è anche la beffa di essere adoperati come propaganda. “Si muovono, non sono morti” denunciano dal Cremlino, tentando di oscurare con la macchina della disinformazione un crimine di guerra. Ma è tutto già visto, come dicevamo. È mattina ad Aleppo, nel nord della Siria. Alle prime luci del 29 gennaio 2013, 110 cadaveri di uomini e ragazzi, alcuni neanche maggiorenni, vengono ritrovati con le mani legate lungo il canale che incanala verso la città il fiume Quwaiq. I corpi sono stati gettati come si lancia un sasso nello stagno. Sporchi di fango, i parenti di molte persone scomparse da giorni accorrono per provare a riconoscere un loro caro. Chi vede in quei corpi il volto del proprio marito o figlio giura che l’ultima volta erano andati in aree sotto il controllo del governo o ad un checkpoint. Da quel momento non ne avevano avuto più notizie.
Di questo massacro, dei corpi di adolescenti e giovani uomini, con sogni e speranza, morti con le mani legate dietro la schiena per impedirgli quasi di coprirsi gli occhi nell’ultimo istante che precede la fine della vita, nessuno ha mai pagato. Ed è impressionante il legame che quei corpi stesi lungo quella riva hanno oggi con quelli che abbiamo visto a Bucha. Sono le stesse vittime, morte per mano di una tragedia identica. Il finale, per i primi, è quello di essere stati dimenticati. Per i secondi c’è ancora tempo per indignarsi, ancora per qualche giorno. Poi saremo pronti a consegnarli all’oblio delle tragedie dimenticate di questi primi venti anni del nuovo millennio.