“Quando mio figlio partì per il fronte nel 2014, in quel momento decisi che non potevo restarmene con le mani in mano, senza fare niente, in attesa di sue notizie. Fu allora che mi misi in moto e passo dopo passo abbiamo allestito il nostro collettivo con una missione speciale: aiutare i nostri ragazzi in guerra. Inizialmente cucendo calze e guanti: erano lì, al freddo, senza niente. E poi ci sono venute altre idee…”. A raccontare la sua storia è pani (la signora) Kateryna. Non è più giovanissima, e come lei quasi tutto il gruppo delle nonne che ogni giorno si ritrova nella chiesa di Leopoli gestita da padre Zenoviy Horkaviy, sacerdote che tutti descrivono come una vera forza della natura: “Carismatico, pieno di iniziative, un vulcano di idee che con il suo entusiasmo ha contagiato l’intero quartiere”. Per Kateryna e le altre volontarie della parrocchia impegnate gli acciacchi dell’età si fanno sentire, “ma sono niente se l’obiettivo prioritario è aiutare l’esercito e tutti i soldati che combattono per l’Ucraina”.
A mezz’ora a piedi dal centro storico, in un quartiere fatto di casette con l’orto, di pace ed apparente serenità, sono quasi una ventina le donne che ogni giorno costruiscono a mano le reti mimetiche utilizzate dai militari per coprire le trincee e nascondere le loro postazioni agli invasori. Un’attività che prosegue da otto anni, da quando iniziò la guerra nel Donbass, ma che dal 24 febbraio del 2022 si è intensificata parecchio. “Fino a quaranta giorni fa lavoravamo un paio di ore al giorno, oggi invece ci siamo divise in due turni, dalle 10 alle 14 e dalle 14 alle 18. C’è chi sta in piedi a cucire da mattina a sera e alla nostra età è davvero faticoso, ma per i nostri figli al fronte siamo pronte a tutto. Nessuna di noi ha abbandonato, siamo vere patriote. E il grande regalo ce lo fanno i nostri ragazzi, quando dal fronte ci mandano le bandiere ucraine autografate”. Si commuovono, quando parlano dei loro figli in guerra, e non potrebbe essere altrimenti. Ma la voglia di aiutare, di darsi da fare e di contribuire a modo loro per la grande causa asciuga ogni lacrima.
Cuciono fino a sei reti a settimana e fra un lavoro e l’altro pregano Dio chiedendogli di esaudire due desideri: la pace e la vittoria. “In questa guerra – prosegue pani Kateryna – si vedono ogni giorno cose ingiuste, inumane. I nostri nemici li chiamiamo moscal: una definizione che è diventata un’offesa, ma per noi rappresenta bene il loro modo di vivere e il loro essere: non esiste una logica umana negli atti che compiono”. E aggiunge: “Non è da esseri umani sparare a una persona disarmata, come fanno i russi, o contro una famiglia indifesa che scappa con la propria macchina. Non seppelliscono nemmeno i loro soldati, li lasciano morti lungo le strade, si rifiutano persino di venirli a raccogliere e di dargli una degna sepoltura”. Vogliono ritornare alla normalità, Kateryna e le altre signore della chiesa. E di certo vogliono la salvezza dei loro figli, ma non per questo sono pronte a tollerare i soprusi degli invasori.
A Leopoli c’è un modo di dire che rappresenta bene l’attuale sentimento degli abitanti della città: “Se tu ti giri con la schiena, lui (l’orso russo) ti morderà”. Insomma, la vera pace va conquistata, altrimenti il nemico se ne approfitterà. E sull’invito del premier ucraino Volodymyr Zelensky a Papa Francesco perché venga a Kiev, le nonne patriote non hanno alcun dubbio: “Sarebbe il benvenuto. Quando, nel 2001, Giovanni Paolo II venne a farci visita fu per noi un evento memorabile. Noi sappiamo che tutto il mondo ci sostiene e questo è importantissimo. E sappiamo anche che le trattative per la pace vanno affrontate attraverso un processo giuridico e tramite la diplomazia. E’ giusto quindi che i colloqui vadano avanti, ma sinceramente non crediamo che porteranno a risultati”. Il tempo della chiacchierata è finito. Le nonne devono rimettersi al lavoro. Come chiunque nel cuore dell’Ucraina più tradizionale, dove ognuno, a modo suo, è impegnato per fermare l’invasione.