Lodevole iniziativa quella inaugurata da ilfattoquotidiano.it in partnership con Greenpeace dal titolo “Carrelli di plastica”. Campagna che mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’uso della plastica. Perché se nulla fanno i governi (in particolare il nostro, che neppure recepisce appieno la Direttiva sulla messa al bando della plastica monouso), è pur vero che qualcosa ciascuno di noi può fare nel suo piccolo.

Perché la situazione è grave, anzi, più che grave: gravissima. La chimica organica, in pratica i prodotti da petrolio, sono dentro, nel profondo delle nostre vite, del nostro quotidiano. La pandemia ha dimostrato che senza plastica addirittura non si vive: sono ricavati dal petrolio le fibre sintetiche delle mascherine, le visiere, i camici del personale sanitario, il plexiglass dei negozi e degli uffici. È pura utopia pensare di fare a meno del petrolio, come verrebbe da pensare con il termine “transizione ecologica”.

Noi viviamo di petrolio. Ce l’abbiamo talmente dentro che le microplastiche sono non solo dentro frutta e verdura ma addirittura nel sangue umano. In qualche modo la plastica diventa parte di noi. In parte noi siamo fatti di plastica… e questo è terribile. La plastica è invasiva, pervasiva: la troviamo sui ghiacciai italiani e nei parchi americani. Questo per dire quanto sia seria la situazione.

Detto questo, ciascuno nel suo piccolo può sicuramente fare qualcosa. E la regola aurea è quella delle tre erre dell’economia circolare: ridurre, riutilizzare, riciclare. Ridurre il consumo della plastica, evidente di comparare prodotti che abbiano componenti in plastica o siano in plastica; dove possibile, riutilizzare i prodotti in plastica; in ultimo, come extrema ratio, riciclarla, nella speranza che il riciclo sia reale e non vada a finire negli inceneritori, che i politici – magia delle parole – chiamano “termovalorizzatori”.

Ma coscienti anche del fatto che il riciclo ha un costo energetico e quindi ambientale e che comunque non si può riciclare all’infinito, come ricorda la stessa Greenpeace. Quindi, non sentiamoci assolti se compriamo un manufatto in plastica solo perché poi lo gettiamo nella specifica differenziata! Il principio cardine, la via maestra resta comunque e sempre il risparmio, una parola che dovrebbe diventare di uso comune nel linguaggio dei politici, specie adesso che si tocca con mano che la pacchia della globalizzazione è insidiosa e non può durare all’infinito. Parola, “il risparmio”, che invece è desolatamente assente.

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