“Borsellino lamentava il fatto che soltanto le sentenze definitive che accertano delle condotte di reato venivano prese in considerazione nei rapporti tra mafia e politica”, ma oggi – a 30 anni dalle stragi – “probabilmente la situazione è anche peggiorata”. Sono le parole di Nino Di Matteo, per tanti anni pm antimafia a Palermo e oggi consigliere del Csm, durante un dibattito organizzato all’Università Statale di Milano per presentare il suo ultimo libro, “I nemici della giustizia”, edito da Rizzoli e scritto insieme al giornalista Saverio Lodato.
Il riferimento del magistrato va, in particolare, alla scelta dei candidati per le prossime elezioni comunali a Palermo e del ruolo svolto da Marcello Dell’Utri.
“Basta sfogliare i giornali – afferma Di Matteo – e leggere che determinate questioni politiche legate alle candidature per il sindaco di Palermo vengono trattate dall’ex senatore Marcello Dell’Utri, che viene inviato in Sicilia per cercare di risolvere la situazione” e trovare la quadra sui candidati.
“Sembra veramente anomalo – sottolinea il consigliere del Csm – che soggetti che sono stati condannati definitivamente per mafia, continuano di fatto a svolgere un ruolo politico benché interdetti dai pubblici uffici”. Di Matteo si dice anche “amareggiato” per la “rassegnazione di tutti rispetto a certe situazioni”. “Oggi – conclude – forse nemmeno le sentenze definitive di condanna della magistratura per concorso in associazione mafiosa, sono sufficienti alla politica per emendarsi da certi antichi vizi”.