+++ Attenzione: questo post potrebbe contenere tracce di umorismo. Si sconsiglia la lettura a chi sa che gli può provocare allergia +++

Guardando l’edizione italiana de Il servitore del popolo, la serie televisiva che ha favorito l’ascesa al potere come presidente di Volodymyr Zelensky, ho avuto un pensiero a cui, immediatamente, si è associato un senso di colpa: Zelensky non avrebbe mai dovuto presentarsi alle elezioni ucraine, doveva rimanere un comico. Nel mondo ci sono tanti politici, ma non ci sono più comici. Il pensiero è andato a Vladimir Putin. Quanto avrebbe bisogno il presidente russo di un comico, un giullare al suo fianco?

Una volta i re, che avevano un caratterino non tanto diverso dai dittatori di oggi, sentivano la necessità di avere intorno degli esseri irriverenti che gli parlassero di loro. A ridicolizzare i comportamenti pomposi e le arie di gloria. Fare da specchio a posture assurde create dalla paranoia, nota figlia della solitudine e dell’isolamento. Non farebbe ridere a un giullare quel tavolone con cui Putin accoglie anche i suoi generali? Un clown potrebbe portare una prolunga per il tavolo, per aumentare ulteriormente la distanza. Magari anche il dittatore ne riderebbe.

Forse riderebbe altrettanto, se, dopo essersi buttato a petto nudo nell’acqua ghiacciata a meno trenta sotto zero per la cerimonia dell’Epifania, vedesse il tuffo del giullare, stessa postura, ma completamente vestito, per terrore del congelamento.

Fa ridere vedere quell’omino che sale al Cremlino quell’infinità di scalini coperti dal tappeto rosso. Il giullare potrebbe percorrere solo l’ultima rampa e accoglierlo con il fiatone. Non è una presa in giro, ma il riconoscere che la vita di un dittatore è più dura di quanto noi possiamo immaginare. La fatica di mantenere un personaggio così odioso. Mantenere un’espressione così rigida richiede una grande energia, per nascondere all’interno la verità: sono un essere umano. Ridicolo come tutti.

Potessi parlare direttamente a Vladimir (meglio online), gli direi “Vlady, tu hai tutto il diritto di essere come sei! Per noi vai bene così! Parlo di quello che, sicuramente, hai dentro, non di quello che stai facendo in Ucraina…”

E’ nota l’infanzia di Vladimir a San Pietroburgo in una famiglia di umili origini, piccolo e bullizzato dai coetanei del quartiere. La strada e la povertà infliggono tante umiliazioni. Ogni volta sarà stato come salire sulla sedia per recitare la poesia il giorno del proprio compleanno e non ricordarsela più. Cantare Casatchok, il ballo della steppa, stonando. Mostrare un disegno di una deliziosa dacia e ricevere in faccia una risata di disprezzo. Pisciarsi a letto di notte, chiamare la mamma e ricevere le sue sberle in cambio. Una continua vergogna davanti a tutti.

Ed ecco che il bambino si congela, l’espressione si irrigidisce, le parole diminuiscono e la gioia del bambino si trasforma in rancore e solitudine. Per tutta la vita la paura di riprovare quella vergogna. Non posso bombardare Dio per quello che mi ha fatto trovare nel mondo, ma il mondo sì che posso bombardarlo! “Eh no Vladimir, noi possiamo capire quello che hai sofferto, ma non è che per questo devi mettere polonio nei calzini e nelle mutande a tutti gli altri come risarcimento!”.

Putin ha bisogno di un Zelensky accanto, ma non il Zelensky politico, il Zelensky attore comico, quello che ha interpretato Vasily Holoborod, il professore diventato presidente dell’Ucraina. Perché un giullare deve diventare un politico e così prenderne i difetti? Non sono sicuro che il Zelensky politico accetterà mai un buffone accanto a mettere i suoi (difetti) in evidenza.

Oggi, io credo, non c’è solo bisogno di pace, ma anche di un elemento della vita che si chiama umorismo e che ci dice la verità sul nostro destino di pazzi che rincorrono orgogli ridicoli, ma pericolosissimi. “Caro Vladimir, il costo di non voler ridere di te stesso è solo la Terza Guerra Mondiale…”, facci un ragionamento, se sei ancora in tempo.

Noi tutti speriamo. Magari un giorno ascolterai il bambino che eri e farai al mondo il Discorso all’Umanità pronunciato dal giullare Charlie Chaplin nel finale del film Il Grande Dittatore del 1940.

“Mi dispiace, ma io non voglio fare l’imperatore. Non voglio né governare né comandare nessuno. Vorrei aiutare tutti: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo unirci, aiutarci sempre, dovremmo godere della felicità del prossimo. Non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca e sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi l’abbiamo dimenticato…”

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