Nella conferenza stampa sull'attività svolta nel 2021, il presidente della Consulta ha dato il proprio nulla osta anche a un'eventuale entrata dell'Italia nel conflitto. Ed è tornato sulle critiche ricevute per aver tenuto conferenze stampa per spiegare la bocciatura dei referendum su eutanasia e cannabis: "Accuse che derivano da disabitudine alla comunicazione della Corte"
La fornitura di armi all’Ucraina? Non è in conflitto con la Costituzione. E il ripudio della guerra citato dalla Carta non è assoluto, ma consente “la guerra difensiva“. A dirlo è il presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato nella conferenza stampa tenuta per presentare la relazione annuale sull’attività svolta nel 2021. “Credo che gli articoli della Costituzione assieme agli articoli sulla solidarietà della Nato e della Ue, ancorchè riguardino solo gli Stati membri, dicano abbastanza su ciò che l’Italia è abilitata a fare, sempre tenendo conto della priorità della pace e dei mezzi pacifici”, ha spiegato l’ex presidente del Consiglio. Citando come esempio contrario, invece, la guerra in Iraq: “In quel caso si trattava di intervenire in un Paese al fianco di altri che avevano invaso quel Paese. Qui mi pare che ci sia una qualche differenza che dovrebbe essere valutata”, sostiene.
“L’articolo 78 della Costituzione, per il quale il Parlamento delibera lo stato di guerra e conferisce al governo i poteri necessari, implica inesorabilmente che l’Italia possa trovarsi in guerra. Già questo risponde al dibattito se il ripudio della guerra sia assoluto o se la guerra difensiva sia consentita dalla Costituzione”, argomenta Amato. “Se all’Italia non fosse consentito per Costituzione di partecipare alla difesa di Paesi terzi aggrediti, sarebbero illegittimi sia l’articolo 5 del trattato Nato, sia l’articolo 42 del trattato dell’Unione, il quale dice che qualora uno Stato membro dell’Unione subisca aggressione sul suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestare aiuto con tutti i mezzi in loro possesso. Queste disposizioni implicano un obbligo degli Stati membri, che un’interpretazione restrittiva” della legge fondamentale dello Stato “renderebbe illegittimo”, sottolinea. È da puntualizzare, tuttavia, che l’Ucraina non è membro della Nato né dell’Unione europea e che l’Italia non ha tenuto lo stesso comportamento rispetto ad altre guerre di aggressione.
La Carta, dice Amato, non crea ostacoli nemmeno a un eventuale processo di fronte alla Corte penale internazionale: “Gli ostacoli”, spiega, “sono altri”, in particolare il fatto che la Russia non abbia ratificato il trattato istitutivo. Ma non è stata la sola: “I primi a non volerne sapere sono stati gli Usa, negli anni in cui avevano i marine in vari Paesi del mondo e temevano accuse. Neanche l’Ucraina lo ha fatto, ma ha accettato lo statuto e quindi rientra in questa giurisdizione. La situazione è tale che un’istruttoria può essere avviata soprattutto perché le prove si trovano in Ucraina, che ha accettato lo statuto. E poi si vede quello che succede. Ma il mondo, nonostante le Nazioni Unite, è ancora nelle mani delle sovranità nazionali, quindi la giurisdizione del tribunale internazionale sarà effettiva solo nei confronti degli stati che la accetteranno”, riferisce.
Il presidente della Consulta è anche tornato sulle critiche ricevute per aver tenuto conferenze stampa (ed essere intervenuto anche in una trasmissione tv) per spiegare le decisioni prese a proposito dell’inammissibilità dei referendum su omicidio del consenziente e legalizzazione delle droghe leggere. “Le accuse derivano da una disabitudine alla comunicazione della Corte”, ha sostenuto. “È stata letta una forma di politicizzazione nella conferenza stampa e nella modalità comunicativa adottata. Alcuni hanno detto che una Corte che comunica così entra in politica, attribuendo alla politica l’esclusiva di poter comunicare. Mentre una Corte deve limitarsi al linguaggio tecnico di questi atti, per come vengono adottati. Ma la Corte si fa sentire parlando l’italiano che tutti comprendono, ha il dovere di farsi capire e percepire come Dio comanda”, ha spiegato. Affrontando, infine, il tema del riconoscimento dei bambini nati da maternità surrogata e dei figli nati da fecondazione eterologa nell’ambito di coppie omosessuali: “Il vuoto oggi esistente non può essere colmato da un intervento puntuale della Corte, che rischierebbe di generare disarmonie nel sistema complessivamente considerato. Esso richiede un intervento del legislatore, che disciplini in modo organico la condizione dei nati nelle diverse circostanze nelle quali quella tutela è più carente”, ha detto.