La cantante è stata intervistata da Francesca Fagnani a Belve (la puntata in onda venerdì 8 aprile) ed è andato in scena un duello verbale di quelli “belveschi” che rischiano di provocare un’onda lunga di polemiche
Donatella Rettore (ma non chiamatela Donatella sennò s’arrabbia), è riuscita in un’impresa epica: lei, da sempre considerata un’icona gay, ha fatto arrabbiare i gay. Tutta colpa della sua partecipazione a Belve, dove venerdì 8 aprile sarà intervistata da Francesca Fagnani, con cui è andato in scena un duello verbale di quelli “belveschi” che rischiano di provocare un’onda lunga di polemiche. Ad innescare lo scontro è stata una domanda della giornalista, che ha ricordato alla cantante alcune sue vecchie affermazioni. “‘Io piaccio ai gay non piaccio alle checche, mentre Raffaella Carrà e Patty Pravo sono icone delle checche vintage’. Queste cose che ha detto non la imbarazzano?“, le chiede la Fagnani. E Rettore non solo non arretra ma rilancia: “No, non sono assolutamente imbarazzata. Per me esistono i gay e le checche, esistono i gay che sanno di avere le palle e ci sono gli isterici che parlano e si strappano i capelli, fanno i pettegolezzi… e quelli non li voglio nemmeno sulla soglia di casa“.
Ma Rettore va oltre e insiste: “C’è una limitazione alla libertà, si mettono dei filtri a cose che sono state ampiamente superate. Ad esempio, il fatto che non si possa dire fr*cio e t*oia“, azzarda beccandosi la controreplica della Fagnani, che le chiede dove stia la libertà nell’utilizzare certe parole. “Adesso Vasco Rossi non potrebbe più dire “è andata con il ne*ro la troia”“, insiste Rettore. “E infatti lui usava troia come un insulto: qual è la libertà nel dare a qualcuno del frocio o della troia?”. A quel punto la cantante, ormai a briglie sciolte, risponde senza freni: “Rivendico la possibilità di usare fr*cio e ne*ro. Non mi sembrano insulti se uno è colorato… dipende dal modo in cui uno lo dice: se tu dici brutto ne*ro è una cosa, se tu dici negretto è un’altra”. Insomma, sei mesi dopo siamo di nuovo sul terreno scivoloso del “se vi chiamano ricchioni, voi ridetegli in faccia”, come dissero Pio e Amedeo innescando un polverone mediatico clamoroso. E chissà che voglia di ridere hanno i ragazzini gay pestati fuori dalle scuole e insultati perché omosessuali.