Le imprese, soprattutto quelle che consumano molta energia come gli stabilimenti siderurgici o le cartiere, sottoscrivono solitamente contratti che prevedono, a fronte di sconti sulle tariffe, la priorità nello stop alla fornitura in caso di necessità. Un embargo sulle importazioni di gas russo avrebbe un impatto "massiccio" sull'economia europea e colpirebbe, in particolare, l’industria, osservai il presidente di Engie, il colosso francese dell’energia, Jean-Pierre Clamadieu
Ci sono valide ragioni perché Italia ed Unione europea considerino la possibilità di uno stop all’acquisto di gas russo. Se si dovesse ritenere che questa mossa possa davvero favorire e accelerare la fine delle ostilità in Ucraina, e non è detto che sia davvero così, compierla sarebbe anzi doveroso. Ma non si può fingere sul fatto che questo non causerà pesanti contraccolpi sulle nostre economia e, in prospettiva, sull’occupazione. Misure concordate a livello europea potrebbero alleviare le ricadute ed assicurare sostegni ai settori più colpiti. Di certo non basterà “spegnere i condizionatori”. A riportare il governo con i piedi per terra sono in questi giorni soprattutto gli imprenditori che si sentono più a rischio. “L’embargo del gas russo sarebbe una extrema ratio e avrebbe un peso inimmaginabile“, ha detto ieri Francesco Buzzella, presidente di Confindustria Lombardia. “Oggi – ha aggiunto – su 76 miliardi di metri cubi, 30 arrivano dalla Russia. Buona parte dell’industria va a gas. Non è solo una questione di condizionatori accesi, come diceva ieri Draghi. Il discorso è spegnere le aziende e perdere posti di lavoro”.
– “Un embargo immediato di gas ed energia equivale all’istantanea chiusura di migliaia di aziende”, ha detto oggi Paolo Agnelli, industriale e presidente di Confimi Industria. Con un malcelato riferimento a Draghi ha aggiunto: “Spiego perché a chi non è pratico di lavoro. Fonderie, acciaierie, trafilerie, laminatoi infatti – e solo per fare qualche esempio – hanno bisogno di gas continuo per sciogliere, per trafilare, per estrudere materie prime. Cosa accadrebbe un minuto dopo la chiusura del gas: blocco degli impianti e cassa integrazione per tutte le maestranze al 100% dell’orario. Mancanza immediata di materie prime semilavorate con conseguenze negative per la produzione dell’intera filiera produttiva”. “L’interruzione delle forniture di gas sarebbe dannoso per il sistema produttivo e per la manifattura del vetro in particolare”, avverte anche l’Associazione nazionale degli Industriali del Vetro, aderente a Confindustria.
Il gas serve anche, se non soprattutto, a produrre energia elettrica. Il 45% dell’elettricità italiana arriva infatti da centrali che per funzionare utilizzano questo combustibile. Problemi nel regolare approvvigionamento di gas renderebbero difficile fare fronte a picchi di domanda. A quel punto scatterebbero le interruzioni. Le imprese, soprattutto quelle che consumano molta energia come gli stabilimenti siderurgici o le cartiere, sottoscrivono solitamente contratti che prevedono, a fronte di sconti sulle tariffe, la priorità nello stop alla fornitura in caso di necessità. In condizioni normali questo non crea problemi ai ritmi produttivi, in una situazione di protratta emergenza le cose potrebbero cambiare. Tra le imprese “interrompibili” ci sono ad esempio Buzzi Unicem, Italcementi, Pirelli, Riva acciaio, Acciaierie Italia, Arvedi, Carbon Sulcis e molti altri nomi meno noti dell’industria pesante.
Secondo il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani in 24-36 mesi “è ragionevole dire che possiamo abbandonare completamente la dipendenza dal gas russo“. Chissà, le cifre attualmente disponibili sulle alternative non sembrano così incoraggianti. Nei tempi indicati dal ministro dall’Algeria (a cui siamo collegati con il gasdotto Transmed) potrebbero arrivare al massimo 5-6 miliardi di metri cubi in più, la produzione libica è azzerata, nei giacimenti in Sicilia e Adriatico il gas è davvero poco, le navi di Gnl arriveranno ma costano tanto. E infatti secondo Banca d’Italia nello scenario peggiore degli sviluppi della guerra in Ucraina, e cioè quello di un’interruzione dei flussi del gas russo compensata solo in parte da fonti alternative, “l’inflazione si avvicinerebbe all’8% nel 2022 e scenderebbe al 2,3 nel 2023″. Sempre secondo Banca d’Italia “L’eventuale interruzione dei flussi dalla Russia potrebbe essere compensata per circa due quinti, entro la fine del 2022 e senza intaccare le riserve nazionali di metano, attraverso l’incremento dell’importazione di gas naturale liquefatto, il maggiore ricorso ad altri fornitori e l’aumento dell’estrazione di gas naturale dai giacimenti nazionali”. L’impatto della guerra in Ucraina, continua via Nazionale, ridurrebbe la crescita del Pil italiano attorno al 2% nel 2022 e 2023 nello scenario “intermedio”, che prevede una prosecuzione delle ostilità.
Un embargo sulle importazioni di gas russo avrebbe un impatto “massiccio” sull’economia europea e colpirebbe, in particolare, l’industria: è l’osservazione del presidente di Engie, il colosso francese dell’energia, Jean-Pierre Clamadieu. “Oggi, ciò che va soppesato, sono ovviamente tutte le motivazioni morali, politiche, che spingono verso nuove sanzioni nei confronti della Russia e poi l’impatto massiccio che uno stop delle importazioni comporterebbe per l’economia”, ha detto, aggiungendo: “Se le importazioni di gas russo cessano, saremmo probabilmente capaci di sostituirlo per circa la metà, ma il resto, sul breve termine, dovrebbe essere realizzato, ottenuto, compensato attraverso una riduzione dei consumi, in particolare, nei settori industriali”.
Dagli Stati Uniti, che forniranno all’Europa 15 miliardi di metri cubi di gas liquido in più ogni anno, a prezzi più elevati del gas russo, si leva intanto la voce del premio Nobel per l’Economia Paul Krugman. L’economista se la prende con la Germania, così severa nell’imporre sacrifici agli altri paesi (vedi soprattutto Grecia) e così poco disposta ad accentarne di propri. Si può discutere delle parole di Krugman, di certo, vista dall’altra sponda dell’Atlantico la situazione è molto più semplice. La Casa Bianca ha varato un embargo su petrolio, carbone e gas russi che è poco più che simbolico viste le quantità molto ridotte che il paese acquista da Mosca e la loro facilità nell’essere rimpiazzata. In attesa che il bando diventi operativo le raffinerie statunitensi continuano a ricevere carichi di greggio russo a prezzo di sconto. E colossi come Exxon Mobil o Chevron inanellano un bilancio da record dietro l’altro grazie ai rincari favoriti anche dal conflitto in Ucraina.