Può ricredersi chi si illudeva che i “signori del Mose” avrebbero pagato il conto per le tangenti e gli errori di costruzione di un’opera faraonica costata finora 6 miliardi e mezzo di euro. Alcuni di loro hanno pagato per le mazzette incassate e distribuite, che hanno originato lo scandalo con i clamorosi arresti del 2014, visto che la Corte dei Conti ha recuperato una quarantina di milioni di euro. Ma è su tutti i costi dell’allegra gestione, che aveva al vertice l’ingegnere Giovanni Mazzacurati e come soggetti interessati le grandi imprese del Consorzio Venezia Nuova (CVN), che cala ora il sipario. Non si parla di bruscolini, ma di decine, addirittura centinaia di milioni di euro. Alla fine lo Stato è intervenuto pagando e firmando transazioni, con il risultato che dei contenziosi non rimarrà più nulla.

In parte si può dire che fossero crediti inesigibili (visto che le società sono decotte), ma in parte si trattava di calcoli riferiti a danni causati per incompetenza o interessi. Una dimostrazione, arrivata pochi giorni fa, emerge dallo stato di incuria in cui sono state lasciate le paratoie del sistema di dighe mobili, che dovrebbero salvare Venezia dalle acque alte. Non hanno mai subito la manutenzione, come documentano le riprese della Guardia di Finanza per conto della Corte dei Conti. Alla fine non pagherà più nessuno. Chi ha avuto, ha avuto e ciò che è stato, è stato.

È questa l’amara conclusione a cui si giunge leggendo il Piano Attestato di Risanamento del Consorzio Venezia Nuova che ha consentito al commissario liquidatore Massimo Miani di salvare i bilanci ed evitare un fallimento che avrebbe significato la paralisi totale dell’opera. Come avere in fondo alla laguna un tesoro inservibile di cemento e acciaio. La data del Piano è il 28 febbraio scorso e riflette gli accordi raggiunti, oltre che con le aziende minori creditrici, con tre soggetti pubblici e privati. Innanzitutto il ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile. Poi il Provveditorato alle Opere pubbliche del Triveneto. E infine con le tre grandi aziende socie del Consorzio coinvolte nello scandalo. La loro operatività è stata annullata nel 2014, con la nomina di tre commissari voluti dall’Agenzia Anticorruzione, a cui un anno e mezzo fa è subentrato il commissario liquidatore.

Il ministero rinuncia alla causa da 84 milioni di euro. Ministero delle Infrastrutture e presidenza del Consiglio dei Ministri avevano avviato nel 2019 una causa da 84 milioni di euro, di cui 76,5 milioni per danno d’immagine e 7,6 milioni per danno da sviamento di funzione, nonché per violazione del patto sociale (a causa dei procedimenti penali per lo scandalo tangenti). Chiedevano quei soldi al Consorzio Venezia Nuova, che ora pagherà solo 10 milioni di euro (nel 2023). Questa transazione ha registrato l’intervento dell’Avvocatura dello Stato di Venezia, che ha chiesto garanzie per “eventuali ulteriori pretese risarcitorie dello Stato nei confronti di altre persone fisiche partecipanti agli atti corruttivi”. L’accordo è stato solo temporaneamente congelato (perché non si sarebbe riusciti a perfezionarlo entro il 28 gennaio), ma la sostanza non cambia. Lo Stato chiedeva 84 milioni, ne incasserà 10.

Cadono i debiti per errori e malfunzionamenti. Complesso l’accordo del Consorzio (concessionario) con il Provveditorato alle Opere Pubbliche (soggetto concessionario dell’opera). CVN avanzava già 133,5 milioni di euro quali “somme definitivamente riconosciute”, che saranno pagate. C’erano poi 132,4 milioni di “somme provvisoriamente riconosciute”: 90 milioni saranno versati dal Provveditorato al Consorzio, mentre 42,6 milioni costituiscono “un onere definitivamente a carico del Concessionario”. È quest’ultimo ad assumersi una fetta consistente del debito del Consorzio, ovvero degli interventi che CVN avrebbe dovuto sostenere o ha sostenuto per riparare gli errori commessi. Lo stabilisce in modo chiaro la “Relazione sui profili giuridici del Piano di risanamento” redatta dal professore Stefano Ambrosini, consulente legale del Consorzio, riferita ai 42 milioni e mezzo. Si tratta della “rinuncia da parte del Provveditorato alle ingenti pretese (di cui al Sesto Atto Aggiuntivo) in merito all’eliminazione dei vizi nelle opere eseguite (per restituzione di somme provvisoriamente riconosciute per ripristini e per anticipi contrattuali)”. È lo Stato che si fa carico di quei debiti (attraverso una compensazione) per rimettere a posto ciò che era stato fatto male.

Eliminate le penali per i ritardi. L’accordo tra Provveditorato e Consorzio contiene un’altra clamorosa liberatoria. E poco importa se di recente è stato fissato un nuovo piano con ultimazione dei lavori prevista per la fine del 2024 o addirittura per il 2025 (la prima pietra del Mose fu posta nel 2003). Nonostante la nomina nel 2019 dell’architetto Elisabetta Spitz quale commissario per accelerare i cantieri, questi sono bloccati da un paio d’anni e il fine-lavori continua a essere spostato. Ebbene, l’accordo prevede ora, in linea con una decisione del Cipess dello scorso anno, che “in merito al prolungamento dei tempi di esecuzione degli interventi e in conformità con il nuovo cronoprogramma, le penalità per ritardo si intendono decadute”. Nessuno pagherà le lungaggini.

Soldi alle imprese delle tangenti. Basta spararle grosse, alla fine un accordo si trova. Lo scorso ottobre Grandi Lavori Fincosit spa e la controllata High Trade avevano chiesto 218 milioni di euro al Consorzio Venezia Nuova e al Ministero delle Infrastrutture per le attività svolte. Il Consorzio aveva risposto chiedendo a sua volta 95 milioni di euro. Alla fine si sono messi d’accordo. Le due società riceveranno 500 mila euro, in cambio rinunceranno a tutte le pretese. Però l’ingegner Alessandro Mazzi e i suoi eredi saranno liberati da ogni responsabilità per danno di immagine nel procedimento civile intentato dal governo, mentre il Consorzio Venezia Nuova pagherà un debito da 5 milioni 350 mila euro per responsabilità erariale a seguito di una condanna in Corte dei Conti relativa allo scandalo tangenti.

Mantovani si “accontenta” di 786mila euro. Anche Mantovani spa, assieme a Covela scarl e Fip Industriale hanno raggiunto un accordo. Erano gravemente compromesse nella retata del 2014: si accontentano di 786 mila euro, in cambio rinunciano a qualsiasi pretesa futura. Anche loro l’avevano sparata grossa, chiedendo 196 milioni di euro ai commissari e alla presidenza del consiglio. Transazione finale, infine, con Astaldi spa e Sam spa. Riceveranno 2,3 milioni di euro, e rinunciano a qualsiasi contenzioso. Si chiude così il conto con le grandi imprese dello scandalo Mose.

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