Ancora nessun accordo sulla riforma del Csm e della legge sull’ordinamento giudiziario, varata dal Consiglio dei ministri a febbraio. E’ stata riaggiornata a sabato alle 12 la riunione tra la maggioranza e il ministro della Giustizia, Marta Cartabia in commissione Giustizia di Montecitorio per trovare un accordo sugli emendamenti in vista dell’approdo del testo in Aula fissato al 19 aprile. Data che ora il presidente della Commissione Giustizia della Camera Mario Perantoni giudica “irrealistica”. Lega e Forza Italia – che nel frattempo stanno bloccando anche l’iter della delega fiscale – puntano i piedi, pronti a difendere le loro posizioni: oggi hanno partecipato alla riunione ma per loro tutto è in stand by. Anche i renziani hanno strappato: “L’accordo è al ribasso, le mediazioni trovate peggiorano il testo, è giusto che Italia Viva porti avanti le proprie proposte in Commissione ed in Aula per far riflettere, in modo costruttivo, la maggioranza”, ha fatto sapere Cosimo Maria Ferri, il magistrato/deputato – ex leader della corrente di Magistratura indipendente – che rappresenta Italia Viva al tavolo,
I leghisti vogliono approfondire il testo con Matteo Salvini e Giulia Bongiorno, oggi a Palermo dove il numero uno di via Bellerio aveva l’udienza del processo Open Arms. Per quanto riguarda invece Fi, tra i vertici azzurri sono emerse perplessità sul sorteggio nella formazione dei collegi, siano essi composti dai distretti di Corte d’Appello siano essi composti dalle Regioni italiane.
Secondo Ferri la riforma “premia il peso delle correnti e mette in difficoltà chi vuole rimanere fuori dal sistema. La legge elettorale (un maggioritario binominale con correttivo proporzionale, ndr) blinda chi ha il sostegno delle correnti e lascia soli i candidati autonomi. La ministra è stata cortese nell’ascolto, ma non disponibile nella sostanza e ha chiaramente fatto capire di voler andare avanti senza Italia Viva, ne prendiamo atto”. Insomma: i renziani metteranno al voto i propri emendamenti. Nonostante sia sotto procedimento disciplinare per essersi accordato sulle nomine – da parlamentare in carica – con l’ex ras delle correnti Luca Palamara, il magistrato è stato delegato da Matteo Renzi a gestire la pratica al posto dei responsabili Giustizia di Iv di Camera e Senato, Lucia Annibali e Giuseppe Cucca. E fin dall’inizio si è scontrato con la ministra Marta Cartabia sul sorteggio temperato per l’elezione dei membri togati del Csm, che renziani e Lega (ma anche Forza Italia e Azione) vogliono a tutti i costi e invece la Guardasigilli considera incostituzionale.
“Se lei è contraria, ce ne faremo una ragione”, aveva detto Ferri a Cartabia in un incontro delle scorse settimane, dichiarandosi indisponibile a ritirare gli emendamenti sul sorteggio, che con il voto compatto di Iv e centrodestra potrebbero passare in Commissione. L’ultima ipotesi emersa è quella di sorteggiare – invece che i candidati – i collegi elettorali accorpando più regioni (e non più distretti di Corte d’Appello, come ipotizzato in un primo momento), in modo da garantire comunque una quota di imprevedibilità nel voto. Italia Viva e Lega hanno anche rifiutato di prendere l’impegno a concentrare le modifiche alla Camera, in modo da garantire l’approvazione conforme in Senato.
Nella conferenza stampa di mercoledì il premier Mario Draghi ha ribadito di non voler porre la fiducia sul testo, chiedendo collaborazione alle forze politiche. Un punto d’incontro però finora si è trovato solo sul tema delle “porte girevoli” tra politica e giustizia: viene estesa anche ai magistrati amministrativi e contabili la norma che impedisce il rientro nelle funzioni dopo aver assunto incarichi elettivi o di governo nazionale o locale. L’intesa è vicina anche sugli emendamenti che vorrebbero introdurre una “separazione delle funzioni” di fatto imponendo limiti strettissimi ai passaggi da giudice a pm: il testo prevede un massimo di due cambiamenti di funzioni nell’arco di una carriera, Forza Italia e Lega vorrebbero abolire del tutto la facoltà. L’ipotesi a cui si lavora è quella di un solo passaggio, che per FI dovrebbe essere svolto entro dieci anni dall’inizio della carriera, mentre il M5S non vorrebbe limiti temporali.
Infine, il tema delle sanzioni disciplinari per i pm che non rispettano la direttiva sulla “presunzione d’innocenza“, parlando con i giornalisti o convocando – a parere del ministro della Giustizia – troppe conferenze stampa in assenza di “interesse pubblico”: l’emendamento che le aboliva, sottoscritto dal capogruppo dem Alfredo Bazoli, verrà ritirato da Bazoli stesso in cambio del ritiro di un’altra proposta a firma di Enrico Costa (Pd) che avrebbe voluto introdurre la responsabilità civile diretta dei magistrati. Al fatto.it, peraltro, Bazoli aveva anticipato di essere pronto a rinunciare al proprio emendamento (che era stato sottoscritto anche dal Movimento 5 Stelle e su cui c’era l’ok della ministra), nonostante il Csm, nel suo parere sulla riforma, avesse lanciato l’allarme sul fatto che con la nuova norma si rischiasse “da un lato di impedire qualsiasi comunicazione o informazione sui procedimenti penali, non solo quelli in corso ma anche quelli già definiti, e dall’altro si attribuisce al titolare dell’azione disciplinare (cioè il ministro, ndr) un potere di controllo e condizionamento amplissimo sui procuratori della Repubblica e su tutti i magistrati del pubblico ministero”.