Giovani donne, dal fragile profilo emotivo e psicologico prevalentemente per ragioni di tipo familiare, adescate e poi soggiogate, fino ad essere ridotte in uno stato di vera e propria schiavitù. Si tratta del cosiddetto schema noto con l’espressione “Lover Boy”. Sono 20 le persone indagate e per cui sono stati disposti dal gip di Bari gli arresti per associazione per delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù, allo sfruttamento della prostituzione e altri delitti contro la persona. Secondo l’ipotesi della Dda alcuni degli indagati avrebbero svolto proprio il ruolo di “Lover Boys”, adescando le vittime in Romania, talvolta utilizzando i social network ed altre fonti aperte per mostrare alle vittime il proprio elevato tenore di vita, alimentando l’illusione di una vita migliore lontano dal proprio Paese. Una volta stabilito il contatto, gli indagati avrebbero sfruttato la condizione di particolare fragilità delle donne per vincolarle emotivamente a sé e poi, manipolandone i sentimenti, le avrebbero sottoposte a vessazioni via via crescenti, spacciate per “prove d’amore”, spingendole a raggiungerli in Italia, fino ad esercitare il totale controllo psicologico sulle vittime ed avviarle alla prostituzione, gestendone per intero i proventi.

L’associazione avrebbe potuto contare sul contributo di alcuni cittadini italiani, che avrebbero fornito – di concerto con gli altri membri del gruppo – assistenza logistica ed operativa, accompagnando le donne sui luoghi deputati alla prostituzione ed assicurando loro un alloggio da cui, però, non avrebbero avuto alcuna possibilità di allontanarsi. Non è mancato il supporto di alcune donne, compagne dei membri dell’associazione, le quali avrebbero contribuito a segregare e sorvegliare le vittime. Sono stati contestati agli indagati 37 capi d’imputazione. Lo stato di soggezione psicologica in cui sarebbero state indotte le vittime sarebbe sfociato, in alcuni casi, in vera e propria riduzione in schiavitù, con il controllo delle comunicazioni effettuate attraverso cellulari e social network e con l’impedimento ad allontanarsi dai luoghi in cui erano costrette a vivere.

Nel mese di marzo del 2017, una delle giovani vittime fu travolta da un’auto mentre era in strada, da sola, subito dopo aver tentato di sottrarsi allo sfruttamento, riportando una grave frattura alla gamba sinistra. Le attività d’indagine hanno consentito di accertare che tale aggressione, concretizzatasi in un vero e proprio tentato omicidio, sarebbe stata effettuata su iniziativa del leader del gruppo criminale, conosciuto dalle vittime con il soprannome “il Principe”. Il flusso di denaro generato dal predetto schema criminale ammonterebbe, secondo le prime stime, a circa 3 milioni di euro annui. Dei 20 indagati, 12 sono stati condotti in carcere e 5 sottoposti agli arresti domiciliari. Con il supporto del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia, proseguono le ricerche di altri tre membri dell’associazione, allo stato irreperibili sul Territorio Nazionale. Gli accertamenti sono nella fase delle indagini preliminari, in attesa di essere sottoposti al vaglio giurisdizionale nel contraddittorio delle parti.

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