Perché la Open Arms andò al largo di Lampedusa e restò lì in attesa dell’autorizzazione allo sbarco, invece di andare altrove? L’udienza di venerdì all’aula bunker dell’Ucciardone a Palermo (la famosissima aula del maxi processo a Cosa Nostra), a carico di Matteo Salvini, ruota tutto attorno a questa domanda. A rispondere, per quasi sei ore, è stato il capitano della nave della Ong, Marc Reig Creus, che nell’agosto del 2019 sostò per 20 giorni di fronte alle coste italiane in attesa che le venisse indicato il Place of Safety, ovvero il porto sicuro in cui attraccare.
“La legge del mare impone che si vada nel porto più vicino e più sicuro” ha ribadito a più riprese il comandante spagnolo che è stato interrogato prima dalla pm Giorgia Righi e dalla procuratrice Marzia Sabella, poi dalle parti civili e infine dalla difesa di Salvini, affidata all’avvocata e senatrice Giulia Bongiorno. Un’udienza fiume quella di venerdì, iniziata alle 10 del mattino e finita solo a tarda sera, intorno alle 23.30. Imputato l’ex capo del Viminale che ha perfino perso l’aereo di rientro previsto per le 19.50. Il leader del Carroccio è accusato dalla procura di Palermo di sequestro di persona e di rifiuto d’atti d’ufficio per i fatti dell’agosto del 2019, in particolar modo per quel che successe dopo la sentenza del Tar che aveva annullato il divieto di entrare in acque territoriali italiane. Da quel momento, il 14 agosto, passarono altri sei giorni prima che all’imbarcazione dell’Ong venisse concesso il Pos, e quindi il permesso di sbarcare. “L’Italia non rispose mai di no alla richiesta del Pos”, ha sottolineato Creus. Spiegando: “Abbiamo ricevuto una richiesta di aiuto via mail da Alarm Phone (una linea di supporto per i barconi in difficoltà nel mediterraneo, ndr) che ha inviato una mail a noi e in coda alle autorità maltesi e italiane. Siamo arrivati sul posto e abbiamo inviato l’equipaggio per verificare le condizioni delle persone a bordo e del natante, quindi abbiamo recuperato i migranti facendoli salire a bordo. Dopo, abbiamo chiesto il Pos a Malta e all’Italia. È quel che si fa in questi casi. Eravamo al confine tra Libia e Malta, ma non consideriamo la Libia un porto sicuro, quindi abbiamo chiesto a Malta che c’ha risposto con chiarezza di no, rifiutando di concedere il Pos”. “Perché non siete andati in Spagna a quel punto, vostro Paese e porto d’origine?” ha chiesto Bongiorno. “Perché il Pos si chiede ai paesi più vicini al posto in cui ti trovi”, ha risposto Creus. Che ha continuato: “Per noi Lampedusa era a quel punto il porto più sicuro, più vicino. Abbiamo chiesto all’Italia il Pos e non ha mai risposto di no. La risposta che c’hanno dato è stata soltanto che la nostra richiesta era stata inoltrata alle autorità competenti”.
Quell’agosto però il capo del Viminale aveva firmato un decreto che vietava l’ingresso nelle acque italiane. Su questo ha puntato tutto la difesa di Salvini, ovvero: perché Creus, alla guida dell’imbarcazione della Ong spagnola, si è portato al largo di Lampedusa pur sapendo di quel decreto? “Sapevo che rischiavamo sanzioni, multe, da 50mila euro si passò in quei giorni a un milione – così ci dissero – ma a noi non interessano le multe, interessa il salvataggio delle persone. In ogni caso mi sono mantenuto sempre oltre le 24 miglia dalla costa di Lampedusa, proprio per non forzare il divieto di ingresso”. Persone che nel frattempo erano triplicate, la Open Arms fece, infatti, altri due soccorsi in quei giorni, il 2 e il 9 agosto, fino ad arrivare a una capienza di 163 persone, rimaste dal 9 agosto al largo di Lampedusa, in attesa del sì allo sbarco.
Nel frattempo, infatti, la Ong aveva fatto opposizione al divieto di ingresso che infatti fu sospeso il 14 agosto dalla sentenza del Tar del Lazio: “A me nessuno ha detto che non avremmo avuto il Pos ma solo che c’era da aspettare”, questo ha ripetuto più volte Creus nella sua lunghissima deposizione, avvenuta in lingua spagnola, con l’ausilio dell’interprete. Ma perché il comandante della nave preferì attendere al largo di Lampedusa, invece che andare in Spagna? Questo è uno dei punti su cui ha più battuto la difesa di Bongiorno. “Non decido io dove vado, sono le autorità ad indicarmi un porto e io ero in attesa della risposta dell’Italia, mentre la situazione a bordo era sempre più tesa e la navigazione fino in Spagna impensabile anche per le condizioni meteo”, questa è stata in sostanza la spiegazione fornita dal capitano dell’imbarcazione della Ong. Prima di lui le testimonianze del medico, Vincenzo Asaro, e della psichiatra, Cristina Camilleri avevano riportato le condizioni dei migranti a bordo, costretti in una situazione con due bagni alla turca, sebbene puliti, e in condizioni psichiche di “urgenza”, così le ha definite l’esperta. E sarebbe stato proprio a causa della tensione a bordo che Creus si rifiutò di fare sbarcare i 39 recuperati nell’operazione del 9 agosto, che Malta si disse disposta a fare sbarcare: “Tutti o nessuno: dopo 9 giorni d’attesa, sarebbe stato complicato spiegare perché gli ultimi arrivati potevano sbarcare e loro no e ritenni che lo sbarco di una sola parte potesse aggravare la situazione di stress psichico accumulata dalle persone a bordo”, questo ha spiegato il capitano spagnolo che ha terminato la sua deposizione alle 20.
Dopo di lui l’udienza è proseguita con altri due testi: Alessandro Dibenedetto, psicologo di Emergency e Katia Valeria Di Natale, membro dello staff Cisom (Corpo italiano di soccorso dell’ordine di Malta). “Siamo qua a rispondere a un processo politico”, così ha commentato Salvini al termine della lunghissima giornata giudiziaria. In netto contrasto con quanto sostenuto dall’accusa che aveva invece sottolineato, richiedendo il rinvio a giudizio, come la contestazione si riferisca ad un atto amministrativo e non politico, sostenendo che dopo la sentenza del Tar, l’allora capo del Viminale non poteva rifiutarsi di concedere il Pos. Tesi condivisa dal gup, Lorenzo Jannelli che il 17 aprile di un anno fa decise per il rinvio a giudizio, e per questo Salvini risponde di rifiuto d’atti d’ufficio e di conseguenza di sequestro di persona, reato per il quale rischia una pena fino a 15 anni.
Giustizia & Impunità
Open arms, il capitano della nave: “Non siamo andati in Spagna perché Lampedusa era il porto più sicuro e più vicino”
Il comandante spagnolo che è stato interrogato prima dalla pm Giorgia Righi e dalla procuratrice Marzia Sabella, poi dalle parti civili e infine dalla difesa di Salvini, affidata all’avvocata e senatrice Giulia Bongiorno. "Sapevo che rischiavamo sanzioni, multe, da 50mila euro si passò in quei giorni a un milione – così ci dissero – ma a noi non interessano le multe, interessa il salvataggio delle persone"
Perché la Open Arms andò al largo di Lampedusa e restò lì in attesa dell’autorizzazione allo sbarco, invece di andare altrove? L’udienza di venerdì all’aula bunker dell’Ucciardone a Palermo (la famosissima aula del maxi processo a Cosa Nostra), a carico di Matteo Salvini, ruota tutto attorno a questa domanda. A rispondere, per quasi sei ore, è stato il capitano della nave della Ong, Marc Reig Creus, che nell’agosto del 2019 sostò per 20 giorni di fronte alle coste italiane in attesa che le venisse indicato il Place of Safety, ovvero il porto sicuro in cui attraccare.
“La legge del mare impone che si vada nel porto più vicino e più sicuro” ha ribadito a più riprese il comandante spagnolo che è stato interrogato prima dalla pm Giorgia Righi e dalla procuratrice Marzia Sabella, poi dalle parti civili e infine dalla difesa di Salvini, affidata all’avvocata e senatrice Giulia Bongiorno. Un’udienza fiume quella di venerdì, iniziata alle 10 del mattino e finita solo a tarda sera, intorno alle 23.30. Imputato l’ex capo del Viminale che ha perfino perso l’aereo di rientro previsto per le 19.50. Il leader del Carroccio è accusato dalla procura di Palermo di sequestro di persona e di rifiuto d’atti d’ufficio per i fatti dell’agosto del 2019, in particolar modo per quel che successe dopo la sentenza del Tar che aveva annullato il divieto di entrare in acque territoriali italiane. Da quel momento, il 14 agosto, passarono altri sei giorni prima che all’imbarcazione dell’Ong venisse concesso il Pos, e quindi il permesso di sbarcare. “L’Italia non rispose mai di no alla richiesta del Pos”, ha sottolineato Creus. Spiegando: “Abbiamo ricevuto una richiesta di aiuto via mail da Alarm Phone (una linea di supporto per i barconi in difficoltà nel mediterraneo, ndr) che ha inviato una mail a noi e in coda alle autorità maltesi e italiane. Siamo arrivati sul posto e abbiamo inviato l’equipaggio per verificare le condizioni delle persone a bordo e del natante, quindi abbiamo recuperato i migranti facendoli salire a bordo. Dopo, abbiamo chiesto il Pos a Malta e all’Italia. È quel che si fa in questi casi. Eravamo al confine tra Libia e Malta, ma non consideriamo la Libia un porto sicuro, quindi abbiamo chiesto a Malta che c’ha risposto con chiarezza di no, rifiutando di concedere il Pos”. “Perché non siete andati in Spagna a quel punto, vostro Paese e porto d’origine?” ha chiesto Bongiorno. “Perché il Pos si chiede ai paesi più vicini al posto in cui ti trovi”, ha risposto Creus. Che ha continuato: “Per noi Lampedusa era a quel punto il porto più sicuro, più vicino. Abbiamo chiesto all’Italia il Pos e non ha mai risposto di no. La risposta che c’hanno dato è stata soltanto che la nostra richiesta era stata inoltrata alle autorità competenti”.
Quell’agosto però il capo del Viminale aveva firmato un decreto che vietava l’ingresso nelle acque italiane. Su questo ha puntato tutto la difesa di Salvini, ovvero: perché Creus, alla guida dell’imbarcazione della Ong spagnola, si è portato al largo di Lampedusa pur sapendo di quel decreto? “Sapevo che rischiavamo sanzioni, multe, da 50mila euro si passò in quei giorni a un milione – così ci dissero – ma a noi non interessano le multe, interessa il salvataggio delle persone. In ogni caso mi sono mantenuto sempre oltre le 24 miglia dalla costa di Lampedusa, proprio per non forzare il divieto di ingresso”. Persone che nel frattempo erano triplicate, la Open Arms fece, infatti, altri due soccorsi in quei giorni, il 2 e il 9 agosto, fino ad arrivare a una capienza di 163 persone, rimaste dal 9 agosto al largo di Lampedusa, in attesa del sì allo sbarco.
Nel frattempo, infatti, la Ong aveva fatto opposizione al divieto di ingresso che infatti fu sospeso il 14 agosto dalla sentenza del Tar del Lazio: “A me nessuno ha detto che non avremmo avuto il Pos ma solo che c’era da aspettare”, questo ha ripetuto più volte Creus nella sua lunghissima deposizione, avvenuta in lingua spagnola, con l’ausilio dell’interprete. Ma perché il comandante della nave preferì attendere al largo di Lampedusa, invece che andare in Spagna? Questo è uno dei punti su cui ha più battuto la difesa di Bongiorno. “Non decido io dove vado, sono le autorità ad indicarmi un porto e io ero in attesa della risposta dell’Italia, mentre la situazione a bordo era sempre più tesa e la navigazione fino in Spagna impensabile anche per le condizioni meteo”, questa è stata in sostanza la spiegazione fornita dal capitano dell’imbarcazione della Ong. Prima di lui le testimonianze del medico, Vincenzo Asaro, e della psichiatra, Cristina Camilleri avevano riportato le condizioni dei migranti a bordo, costretti in una situazione con due bagni alla turca, sebbene puliti, e in condizioni psichiche di “urgenza”, così le ha definite l’esperta. E sarebbe stato proprio a causa della tensione a bordo che Creus si rifiutò di fare sbarcare i 39 recuperati nell’operazione del 9 agosto, che Malta si disse disposta a fare sbarcare: “Tutti o nessuno: dopo 9 giorni d’attesa, sarebbe stato complicato spiegare perché gli ultimi arrivati potevano sbarcare e loro no e ritenni che lo sbarco di una sola parte potesse aggravare la situazione di stress psichico accumulata dalle persone a bordo”, questo ha spiegato il capitano spagnolo che ha terminato la sua deposizione alle 20.
Dopo di lui l’udienza è proseguita con altri due testi: Alessandro Dibenedetto, psicologo di Emergency e Katia Valeria Di Natale, membro dello staff Cisom (Corpo italiano di soccorso dell’ordine di Malta). “Siamo qua a rispondere a un processo politico”, così ha commentato Salvini al termine della lunghissima giornata giudiziaria. In netto contrasto con quanto sostenuto dall’accusa che aveva invece sottolineato, richiedendo il rinvio a giudizio, come la contestazione si riferisca ad un atto amministrativo e non politico, sostenendo che dopo la sentenza del Tar, l’allora capo del Viminale non poteva rifiutarsi di concedere il Pos. Tesi condivisa dal gup, Lorenzo Jannelli che il 17 aprile di un anno fa decise per il rinvio a giudizio, e per questo Salvini risponde di rifiuto d’atti d’ufficio e di conseguenza di sequestro di persona, reato per il quale rischia una pena fino a 15 anni.
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Washington, 18 mar. (Adnkronos/Afp) - L'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Turk si è detto "inorridito" dalla ripresa dei bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, che hanno provocato molte vittime, e ha chiesto che "l'incubo finisca immediatamente".
"L'unica via da seguire è una soluzione politica, coerente con il diritto internazionale. L'uso di una forza militare ancora maggiore da parte di Israele non farà altro che accumulare ulteriore miseria su una popolazione palestinese che già soffre di condizioni catastrofiche", ha scritto Turk in una nota.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - "Il governo italiano - che per bocca di Crosetto evita accuratamente di attribuire la rottura della tregua al rifiuto di Israele di passare alla seconda fase dell'accordo che prevedeva il ritiro delle sue truppe e alla violazione della tregua con il blocco umanitario e continue attacchi - abbia il coraggio di condannare l'ormai evidente piano di sterminio di Netanyahu, chiedendo all'Unione europea di imporrare sanzioni economiche e diplomatiche a Israele, interrompendo ogni rapporto commerciale e finanziario, ogni consegna di fornitura militare e richiamando tutti gli ambasciatori europei come strumento di pressione diplomatica sul governo Netanyahu". Lo dicono i capigruppo M5s delle commissioni Esteri di Camera e Senato Francesco Silvestri e Bruno Marton.
"L'Europa che aspira a una sua autonomia strategica abbia il coraggio di smarcarsi dalla posizione degli Stati Uniti apertamente schierati con gli estremisti criminali che guidano Israele", aggiungono.
Milano, 18 mar. (Adnkronos) - "Vengo spesso interpellato dai media, in questi giorni, sulla nuova vicenda Sempio sulla quale non posso parlare perché la Procura non mi ha ancora abilitato al deposito della nomina al contrario, almeno da quanto leggo dalla Cassazione, sembra aver interloquito con la difesa Stasi". Lo precisa all'Adnkronos Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia di Chiara Poggi uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007.
Si tratta di un atto necessario affinché l'avvocato della famiglia della vittima possa costituirsi parte offesa nel procedimento che riguarda Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, indagato per omicidio. La Procura di Pavia, dopo una prima archiviazione, ha riaperto le indagini sul trentasettenne per un delitto che ha già portato alla condanna in via definitiva a 16 anni di carcere per l'allora fidanzato Alberto Stasi. Ora, senza quella nomina, la parte offesa - cioè i consulenti della famiglia Poggi - non potranno partecipare alla rilettura delle analisi sul Dna trovato sotto le unghie di Chiara Poggi o sul dispenser portasapone del bagno dove, per le sentenze, si lava l'assassino.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - "E alla fine il governo Netanyahu ha rotto la tregua. Le cose non accadono mai per caso, la scelta di Israele di bombardare di nuovo in modo massiccio un territorio devastato e raso al suolo come Gaza, dove con la tregua milioni di civili avevano per un attimo respirato, è l’ennesimo crimine di guerra di Israele". Lo ha detto Nicola Fratoianni a Radio Anch’io.
"E dico all’Europa, che in questi giorni è tutta ripiegata su stessa, che forse deve ricominciare da qui, perché quando Israele bombarda i palestinesi bombarda anche il diritto internazionale -ha aggiunto-. Quelle sanzioni che sono state comminate al regime di Putin in questi anni devono essere subito applicate al criminale Netanyahu e il trattato di associazione Israele-Ue immediatamente sospeso. È davvero insopportabile la complicità con chi si macchia di tali atrocità".
Roma, 18 mar.(Adnkronos) - Non ama definirsi una diva (“diva a chi?”). Forse un’antidiva, che non si prende mai sul serio. Non conosce la rabbia (“non serve per farsi rispettare o volere bene”). Ma, al contrario, nel corso della sua carriera ha saputo trasformare gentilezza e semplicità nella sua forza. Sì, perché Serena Rossi è arrivata dove è arrivata perché è così, proprio come si vede sullo schermo, non avendo mai paura di mostrare le sue fragilità, la sua risata (una melodia per le orecchie) e il suo stupore (come quello di una bambina). Serena è ‘mille culure’ come la Napoli cantata da Pino Daniele. Ed è proprio alla sua città che l’attrice rende omaggio con il suo primo spettacolo ‘SereNata a Napoli’ (prodotto da Agata Produzioni e Savà Produzioni Creative): un viaggio fatto di musica e parole, che si intrecciano come amanti per raccontare una città leggendaria e dalle mille contraddizioni: “È la mia serenata a Napoli, per lei provo un amore viscerale ma anche conflittuale, in alcuni momenti”, dice all’Adnkronos l’attrice. Per lei “è un sogno che si realizza, ce lo avevo nel cuore da tantissimo tempo. Io credo che le cose si concretizzino nel momento giusto. Prima forse non lo era, mi sono concentrata sulle esperienze televisive e cinematografiche” e soprattutto “ho cercato di fare la mamma il più possibile. Ora mio figlio è un po’ più grande, mi sono presa il lusso di fare questo spettacolo che è molto impegnativo e mi porterà via da casa per un po’”.
La tournée partirà il 22 marzo al Teatro Colosseo di Torino (data già sold out) e proseguirà l’1 aprile all’Auditorium della Conciliazione di Roma (sold out), il 10 aprile al Teatro Verdi di Firenze, dal 5 al 9 maggio al Teatro Augusteo di Napoli (sold out), il 21 maggio al Teatro Duse di Bologna e il 6 giugno al Teatro Arcimboldi di Milano. Rossi sarà in tour anche questa estate. Il 24 giugno alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, il 17 luglio al Real Sito di Carditello San Tommaso, il 29 luglio all’Anfiteatro degli Scavi di Pompei, l’1 agosto al Teatro Verdura di Palermo, l’8 agosto al Teatro Romano di Spoleto, il 10 agosto al Teatro della Versiliana di Marina di Pietrasanta, il 23 agosto all’Arena Virgilio di Gaeta, il 27 agosto allo Sferisterio di Macerata, il 5 settembre all’Oasi dei Battendieri di Taranto e il 13 settembre al Teatro Romano di Verona. Serena Rossi riporta in vita Napoli attraverso la leggenda di Partenope, il canto dei vicoli, i suoni delle feste popolari e ninne nanne che hanno cullato generazioni.
“Non parlerò di me, non volevo che lo spettacolo fosse egoriferito”, ma “ci sono dei momenti legati alla mia famiglia, quando parlo della guerra e dei treni dei bambini, come ho raccontato nel film di Cristina Comencini. Mia nonna è stata una di quei bambini”. Inoltre, racconto di una mia antenata che è stata la prima cantante femminista della storia, sapere che ho dentro un po’ di lei mi commuove molto”, anticipa l’attrice (di recente nominata ambasciatrice del World Food Programme), che si dice essere “in una fase in cui voglio raccontare la mia visione di questa città per farla scoprire a chi non la conosce, a chi pensa di conoscerla e riscoprire a chi la conosce”. E lo fa accompagnata da un’orchestra composta da sei elementi, parte viva dello spettacolo, guidata dal Maestro Valeriano Chiaravalle. “C’è tanta musica, i brani sono 18. Spazieremo da ‘Reginella’ a ‘Dove sta Zazà’ fino a ‘Io mammeta e tu’ e ‘Lacreme napulitane’”.
Nel corso della carriera “nessuno ha mai visto la mia napoletanità come un difetto, ma spesso mi hanno detto ‘non è questo che ci serve al momento’. Quando sono arrivata a Roma - ricorda Rossi all’Adnkronos - mi sono sentita un pesce fuor d’acqua e inadeguata, così cercavo di darmi un tono quando parlavo”. È stato “mio marito (il collega attore Davide Devenuto, ndr) a farmi vedere la mia napoletanità come una grande forza consigliandomi di non nasconderla perché avrei perso la mia naturalezza. L’ho ascoltato ed è andata bene”.
Ed è proprio così. Rossi è sinonimo di successo: al cinema, in televisione e anche in sala doppiaggio. È stata la voce di Anna di ‘Frozen’ ma anche di Mary Poppins nel film con Emily Blunt e della Regina Cattiva nella versione live-action del classico d’animazione Disney ‘Biancaneve’, dal 20 marzo nelle sale. Rossi interpreta i brani del villain, interpretato da Gal Gadot: “Dopo ‘Uonderbois’ ci ho preso gusto con le ‘cattive’”, dice tra le risate Rossi. “Questa per me è stata una sfida perché la Regina Cattiva ha una durezza e una rabbia nella voce, canta con i bassi. La mia, invece, è una vocalità molto leggera. Spero di essere riuscita a diventare la più cattiva del reame”. La tournée porterà l’attrice lontana dai set per alcuni mesi ma, come anticipa all’Adnkronos, “ci sono un paio di cose belle in cantiere, ma non posso dire nulla. Forse riesco a girare una cosa prima dell’estate e una subito dopo”. La speranza di Rossi è quella “di portare ‘SereNata a Napoli’ ancora un po’ più in là”. Per l’attrice questo “è un momento di grande fermento, di scegliere bene e di essere saggi”.
I rumors su di lei a Sanremo in veste di co-conduttrice nell’edizione di Carlo Conti hanno circolato per mesi, chissà se il prossimo anno possa davvero succedere: “Sarebbe bellissimo, un sogno. Da buona napoletana ti dico 'vene quanno adda venì'". In questo momento “mi sento abbastanza completa. Quello che desidero per la mia carriera è di continuare ad essere curiosa e smaniosa di cercare nuove sfide che mi possano gratificare e darmi tanto. Ma ammetto che già così sono molto felice", conclude. (di Lucrezia Leombruni)
Roma, 15 mar. (Adnkronos) - Al via oggi a Roma l’Acea Water Fun Run, la maratona dell’acqua per famiglie e bambini dedicata al risparmio idrico. La corsa non competitiva di cinque chilometri, che il Gruppo Acea sostiene insieme alla Acea Run Rome The Marathon di domenica 16 marzo, celebra così il profondo legame tra Roma e l’acqua attraverso lo sport. Ed è record di adesioni alla manifestazione di oggi con oltre 20mila iscritti, di cui più di 4mila stranieri provenienti da 97 nazioni. Per Acea ha partecipato la Presidente Barbara Marinali (VIDEO).
Lungo il percorso della Acea Water Fun Run, che si snoda attraverso uno dei luoghi al mondo più ricchi di storia e di arte, il gruppo Acea ha dislocato punti di ristoro dove l’organizzazione della maratona distribuirà 330mila brick d’acqua, tra oggi e domani. Al Circo Massimo è stato inaugurato l’Acea Water Village che ospiterà fino a domani iniziative dedicate all’educazione idrica, per sottolineare l’importanza dell’acqua nella pratica sportiva e nella tutela della salute e del pianeta: da una ruota per la produzione di energia ad uno spazio interattivo per l’utilizzo di visori di realtà virtuale, dal gaming Casa Net Zero Water Building al photo booth “Ogni goccia conta, ogni passo vale”.
All’Acea Water Village presenti i vertici Acea, l’ex nuotatore e campione olimpico Massimiliano Rosolino e i nuotatori della Rari Nantes di Firenze, una delle squadre che Acea sostiene all’interno di un progetto dedicato territorio che unisce “acqua e sport”, a favore dei giovani e della loro formazione. Oggi pomeriggio, invece, nello stand Acea allestito presso l’Expo Village Acea Run Rome The Marathon al Palazzo dei Congressi dell’Eur sono previste diverse attività di sensibilizzazione sul tema acqua: da T.E.D.D.I. il cane robot simbolo dell’innovazione tecnologica ad un’esperienza immersiva tramite visori di realtà virtuale, dal Marathon Water Wall fino ad un nasone con una postazione per scaricare l’App Acquea di Acea, pensata per atleti, cittadini e turisti, che permette di individuare, tra 3.500 punti idrici geolocalizzati a Roma, la fontana, il nasone o la Casa dell’acqua Acea più vicina per dissetarsi. Previsto anche il talk show “Il benessere di un atleta: un perfetto equilibrio tra acqua, sport e salute” presso lo stand Acea, alle ore 17, moderato dal Presidente della Commissione Federale Atleti Fidal Carlo Cantales a cui parteciperanno gli sportivi Manuela Di Centa, Angelika Savrayuk, Stefano Pantano, Silvia Di Pietro, Davide Passafaro, Daniele Del Signore, il presidente di Acea Acqua Enrico Resmini e il direttore della Comunicazione di Acea Virman Cusenza.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "La fine della tregua in Medio Oriente, e del percorso per il ritorno a casa di tutti gli ostaggi, è una notizia dolorosa. Fa male assistere ad altri morti e violenza. Mi auguro si possa tornare sulla strada della costruzione di un dialogo, pur difficile, ma necessario. Bisogna uscire dal baratro delle guerre". Lo dice il presidente della Camera dei deputati Lorenzo Fontana.