Società

Questa guerra ha radici profonde: per capire come uscirne, cambiamo impostazione

“Si vis pacem, para bellum” è una frase latina data come scontata e veritiera da molti, viene utilizzata per giustificare la militarizzazione del mondo. Voglio copiare l’esclamazione di Fantozzi per affermare che, a mio avviso, è “una cagata pazzesca!”. Da quando è stata scritta il mondo, con frequenza impressionante, incappa in guerre più o meno estese e distruttive. E dire che di guerre ne sono state preparate armandosi a dismisura! Anche questa dove gli americani e gli inglesi esportavano armi in Ucraina da diversi anni per fare rappresaglie nel Donbass e i Russi sperimentavano “arma fine del mondo (missile ipersonico)”.

Recentemente ho sentito un esponente della Nato che affermava con piglio deciso che Putin deve stare attento perché quest’alleanza, cui apparteniamo, ha un arsenale più vasto dell’Unione Sovietica. Se la Russia ha le armi nucleari per distruggere e contaminare di radiazioni il mondo dieci volte (circa 5000 bombe nucleari mentre per rendere radioattiva buona parte della terra ne bastano, sic , 500) che bisogno abbiamo di averne ancora di più? Quanti mondi vogliamo distruggere? Quanti crediamo di averne a disposizione?

“Si vis pacem, para pacem”. Mi pare più sensato. Ma come si prepara la pace? I passi necessari sono: conoscere i potenziali avversari, comprenderli, empatizzare, farsi conoscere e comprendere per poi reagire in modo razionale. Conoscere e farsi conoscere con i propri modi di pensare, con la propria peculiare storia contaminarsi con scambi fra università e cittadini è l’elemento essenziale. Se si capisce che si ha a che fare con un “cattivone” (il mondo pare ne sia pieno) occorre avere un arsenale militare, soprattutto difensivo, ben rifornito. Se capiamo che il cattivo ha timore, perché più fragile e meno armato di noi, occorre ridurre gli armamenti offensivi privilegiando, casomai, quelli difensivi.

Non bisogna armare i suoi avversari o cercare di destabilizzare il suo paese “esportando la democrazia”. Soprattutto occorre empatizzare, cioè capire le emozioni e avvertirle come reali, dei nemici. Il cattivone deve essere tranquillizzato perché nella sua testa, avvezza a un mondo di cattiverie, pensa che se noi siamo più forti prima o poi useremo contro di lui le nostre armi.

L’alternativa è seguire un’altra celebre frase latina: “Cartago delenda est”. Il problema è che il nemico non è più in una singola città lontano da noi come Cartagine ma è nel nostro unico mondo per cui se lo radiamo al suolo distruggiamo, ipso facto, anche l’unica terra su cui possiamo vivere.

Cosa fare ora che la guerra c’è già a dispetto di tutte i nostri auspici? Questa guerra ha radici profonde e fa parte della “terza guerra mondiale a pezzi successivi” che Papa Francesco vede dipanarsi negli ultimi decenni. Si confrontano diverse idee di come debba essere gestito il nostro mondo. Da un lato gli americani vedono un mondo unipolare, con loro a capo, e danno preminenza all’espansione delle loro multinazionali mentre i russi e i cinesi vogliono un mondo multipolare e preservare il loro modello autoritario di civiltà. Esistono poi ragioni locali con tensioni irrisolte fra etnie, religioni e lingue che perdurano da molto tempo in zone come il Donbass e la Crimea. Capire tutto è difficile e forse per noi europei impossibile.

Fatta questa premessa che fare praticamente? Non voglio ergermi a stratega geopolitico (ce ne sono anche troppi). Provo a fornire un’ipotesi che deriva dalla mia esperienza di psicologo. Ci troviamo di fronte a una domanda senza soluzione, come spesso succede nelle relazioni umane ad esempio nelle storie di coppia, in cui si sbaglia sia se si attua una strategia che il suo contrario. Non fornire armi vuol dire fregarsene dei poveri ucraini invasi, fornirle significa entrare in una guerra che altri hanno preparato in lunghi anni di reciproche ripicche, aggressioni, minacce e scontri geopolitici.

In queste situazioni, in cui non esiste una risposta, occorre cambiare impostazione. Un nucleo di paesi Europei dovrebbe svincolarsi dalla dipendenza dagli Usa e, pur rimanendo nella Nato (non si tratta di una alleanza bellica ma esclusivamente difensiva), proporre a Russia e Ucraina una visione. Ma quale è la visione della possibile pace che ha l’Europa? Su questo occorrerebbe una risposta da parte della dirigenza europea. L’Europa vuole che la Russia perda la guerra, si ritiri nei suoi territori lasciando anche la Crimea e paghi i danni di guerra? Oppure l’Europa vuole un accordo in cui la Crimea resti alla Russia? E cosa si vuole fare nei territori del Donbass? Che visione del nostro continente ha la dirigenza Europea?

Se, come probabile, gli Stati europei rimarranno divisi la pace la potrà siglare solo Biden presumibilmente a ridosso delle elezioni americane.