Milano, al sit-in per la pace i racconti dei volontari di Mediterranea di ritorno da Leopoli: “C’è chi ha vissuto sottoterra e chi ci ha affidato il figlio”
È una mobilitazione permanente quella di “Milano contro la guerra”, tra raccolte, carovane solidali, accoglienza e manifestazioni cittadine ogni sabato. Così anche sabato 9 aprile i movimenti pacifisti milanesi sono tornati in piazza con un presidio a pochi metri dal Castello Sforzesco. Una “chiamata alle arti” per chiedere pace, disarmo e futuro. Tra canti, musica e poesie, al centro della manifestazione ci sono state anche le voci dalla carovana “Safe Passage”, che da Milano ha raggiunto Leopoli. A organizzarla Mediterranea Saving Humans, l’ong che si occupa dal 2018 di osservazione e monitoraggio, ricerca e soccorso a tutela dei diritti umani nel Mediterraneo Centrale, che dopo l’invasione russa ha deciso di dare sostegno alla popolazione ucraina consegnando aiuti umanitari e riportando in Italia chi scappa dal conflitto. “La guerra è incarnata nei corpi di chi la subisce”, spiega Elena, volontaria di Mediterranea, che nel corso del presidio ha raccontato storie ed emozioni della sua esperienza nel convoglio umanitario. “È una missione – ha aggiunto – che ha lo scopo di dimostrare che chi è per la pace non deve solo stare a guardare dal divano ma deve rimboccarsi le maniche e fare cose concrete”. Dal palco anche la richiesta alle istituzioni di fare di più: “Innanzitutto – sottolinea Elena – impegnandosi per un vero e proprio sostegno umanitario ai civili in Ucraina, ma non solo: portiamo la spesa militare al 2%, quando non siamo in grado di stanziare fondi per l’accoglienza dei profughi che arrivano sul territorio, delegando l’accoglienza solo ai cittadini”. Una piazza, quella del sabato milanese, contraria alla guerra ma anche al riarmo e all’invio di armamenti all’Ucraina. “La pace non si fa con le armi, la diplomazia dal basso è possibile, le istituzioni pertanto si potrebbero muovere per costruire veramente la pace senza fomentare il business della guerra”.