Come spesso succede quando in ballo c’è la guerra sono i generali a fornire analisi lucide e a indicare la strada più breve per la pace. Le guerre le fanno i politici, spesso facendo leva sulla spinta irrazionale ed emotiva delle popolazioni, ubriache della loro propaganda. L’idea che gli eserciti siano guerrafondai appartiene alle molteplici illusioni del tempo di pace e quello che l’Europa ancora gode dura ormai quasi da un secolo.
Fatta questa premessa, non sorprende che tra le pochissime voci fuori del coro nella guerra in Ucraina ci siano quelle di illustri generali. L’ultima è la lucidissima analisi del generale Bertolini, che conferma quanto mi è stato detto in privato da altri strateghi militari: che la guerra finora condotta dai russi sta seguendo un canovaccio ben pianificato; che l’obiettivo non è l’invasione dell’Ucraina, paese decisamente ostile a Mosca, o quella dell’Europa, che sarebbe pura follia, ma l’incameramento delle aree a forte presenza etnica russa o pro-russa nell’est del paese e delle regioni che si affacciano sul mare di Azov e sul mar Nero. Il generale Bertolini conferma anche ciò che molti analisti bellici hanno paura di ammettere pubblicamente: che il prolungamento del conflitto mieterà soltanto più vittime, renderà gli accordi finali ancora più spinosi e che l’esito del conflitto è certo, come lo era ancora prima che iniziasse.
A rischio di essere linciata sui social, oggi voglio concentrami sulle “vittime”, gli aggrediti, e lasciare da parte gli aggressori. Lo faccio per affiancarmi a chi nelle ultime settimane ha remato verso la pace, contro chi, pretendendo di farla, da settimane arma una nazione che sta scivolando nell’ennesima guerra per procura, questa volta però lungo i confini dell’Europa. In primis, come ha riportato il New York Times, prima dell’invasione il cancelliere tedesco Scholz propose una mediazione che includeva la neutralità dell’Ucraina, quindi niente adesione alla Nato né all’Ue, il riconoscimento dell’annessione della Crimea nel 2014 e l’indipendenza del Donbass – dove dal 2014 c’è la guerra tra milizie ucraine, tra cui la tristemente famosa milizia Azov, e quelle indipendentiste russe. Garanti dell’accordo sia l’Ue e che gli Stati Uniti.
Zelensky disse che non era interessato perché non si fidava di Putin. E neppure di Scholz? Di Biden? Di Bruxelles? Viene da domandarsi se Zelensky abbia optato per la certezza di un conflitto armato subito, con l’appoggio degli armamenti e dei miliardi occidentali, piuttosto che per la pace con il rischio di un ipotetico conflitto nel futuro. Meglio una guerra certa oggi che la pace sotto la minaccia di una domani, era questo il suo ragionamento? Se l’obiettivo era e rimane dare una lezione a Putin e porre fine per sempre alle ingerenze di Mosca, e se il prezzo che si è disposti a pagare è alto, anzi altissimo a giudicare dalle immagini del paese martoriato, allora questo è il momento giusto per farlo. Nessuno sa chi vincerà la prossima corsa alla Casa Bianca, quali saranno gli umori a Londra o come reagirà la popolazione europea all’ondata di inflazione che si sta abbattendo sul vecchio continente.
In secondo luogo, dalle parole di Draghi, “Se vogliamo la pace spegniamo i condizionatori” e armiamo l’Ucraina, si evince l’ignoranza dei politici attuali riguardo alla guerra. Non acquistare più gas dalla Russia e fornire armi all’Ucraina non pone fine al conflitto. A Draghi e ai suoi colleghi europei ricordo che le sanzioni non hanno mai funzionato quale deterrente bellico e che la prima regola per evitare che i conflitti etnici degenerino in genocidi o guerre allargate è la seguente: mai armare nessuno. Immaginate cosa sarebbe successo nell’Irlanda del Nord se gli Stati Uniti avessero permesso alla diaspora irlandese di armare l’Ira invece di inviare aiuti finanziari attraverso varie organizzazioni caritatevoli. Le armi, certo, l’Ira se le comprava da sola ma non aveva accesso ad armamenti modernissimi e sofisticati e gli acquisti erano limitati anche per questioni logistiche. Immaginate le sorti di quel conflitto se dagli Stati Uniti fossero arrivati missili, fucili, munizioni, mine e così via e se l’opinione pubblica si fosse apertamente schierata a favore dell’Ira. Per chi non lo ricorda o non conosce i fatti: all’inizio degli anni Settanta, durante i cosiddetti Troubles, in alcune città dell’Irlanda del Nord c’era la guerra civile. Ebbene, in molte zone del Donbass è dal 2014 che c’è la guerra civile.
Armare milizie e popoli non porta mai alla pace ma alla guerra perpetua e alla destabilizzazione politica. Negli anni Ottanta la Cia, insieme all’Arabia Saudita, finanziò i Mujaheddin contro l’Unione Sovietica in Afghanistan: questa fu la miccia che innescò al Qaeda, decenni di terrorismo del fondamentalismo islamico, la destabilizzazione di gran parte del mondo musulmano, senza menzionare l’11 settembre e tutti gli attentati verificatesi in un secondo momento.
In terzo luogo, le guerre per procura si sono sempre combattute in silenzio e questo ha mantenuto in vita la possibilità di pacificazione, come è avvenuto alla fine della guerra fredda, la madre di tutti i conflitti per procura. Usare la propaganda bellica per motivi interni, vedi la posizione di Boris Johnson che grazie alla guerra in Ucraina è riuscito a schivare una crisi di governo che lo avrebbe visto in minoranza, è pericolosissimo. Alle parole prima o poi seguono i fatti.
In quarto luogo, dare ampio ed eccessivo spazio alla dialettica bellica di uno dei contendenti – e mi riferisco a Zelensky, che chiede costantemente più armi ma non di paracadutare cibo, medicine e bevande sul paese martoriato dalla guerra – chiude ogni via di pace. Applaudire la determinazione del presidente a non cedere, a combattere fino all’ultimo uomo, significa abolire la diplomazia e tornare indietro allo stato di natura di Hobbes. I veri eroi nella storia non sono quelli che fanno radere il proprio paese a zero piuttosto che piegarsi, i veri eroi scendono a compromessi per salvare vite e territori. E per chi non lo ricorda la Germania di Hitler non cedette fino al crollo totale e il Giappone si arrese solo dopo due atomiche.
In quinto luogo, per quanto traballante e senile, l’Onu è ancora un’istituzione sovranazionale e il suo consiglio di sicurezza è il cuore del mondo. Questo consiglio, composto dai membri permanenti e da quelli a rotazione, votò contro l’intervento armato in Iraq, una decisione corretta dal momento che le prove contro il regime di Saddam fornite da americani e britannici erano false. La composizione del consiglio di sicurezza non può essere decisa da Zelensky, che ha chiesto di far espellere la Russia, o da qualsiasi altro capo di stato, né può essere alterata da un singolo conflitto.
E concludo: la tragedia ucraina è l’ultima di una lunghissima e terrificante lista di conflitti egualmente inumani. Le atrocità che oggi si commettono in Ucraina si sono verificate in Yemen, in Afghanistan, in Siria, in Iraq, in Libia, nell’Africa orientale e occidentale, a Myanmar, ma abbiamo scelto di non vederle; o forse chi ci condiziona, chi controlla il bombardamento mediatico che subiamo quotidianamente, non ha voluto che le vedessimo. Nel mondo fuori dai confini del ricco occidente, però, la narrativa è ben diversa: in India, Pakistan, Bangladesh, in Cina e in Africa tutte queste atrocità sono ben impresse nell’immaginario collettivo, come ci si ricorda bene della nostra indifferenza nei loro confronti. Riflettiamo su questo punto quando ci domandiamo perché alcuni paesi appartenenti all’Onu non hanno votato a favore delle sanzioni contro la Russia, come suggerito dai noi occidentali, e continuano a farci affari.
Morale: stiamo attenti a non commettere gli errori del passato, a non considerare la tragedia di un popolo bianco, cristiano e alle porte dell’Europa più significativa, più rilevante di quella di popoli etnicamente diversi da noi. Facciamo un bell’atto di coscienza nella speranza che ci aiuti a ritrovare lo spirito pacifista dei nostri nonni reduci dalla Seconda guerra mondiale e a diffonderlo non solo ai confini dell’Europa ma dovunque aleggi lo spettro della guerra.