Sospensione dal presente e dal futuro. Metti da parte la guerra, i problemi personali, siediti, guarda, e ascolta. Prima serata di Rai Tre, nuova serie di Che ci faccio qui, il programma di Domenico Iannacone, giornalista dal cuore e dall’animo immensi, capace di dare voce a coloro che hanno tanto da dire ma che spesso nemmeno vediamo, tanto siamo distratti e inconsapevoli.
L’esordio con Ti amo ancora, storia attuale di un gruppo di ragazzini incontrati cinque anni fa, che Iannacone torna a trovare in una realtà completamente cambiata pur in una manciata di anni.
Questo è il suo programma. Ringrazio tutti coloro che fanno parte della sua squadra, ma sento di doverlo definire come il suo programma, perché sua è la regia e suo il sentire con cui pervade una narrazione che si dipana attraverso i dialoghi ma anche, o forse soprattutto, attraverso i silenzi incastonati con i volti, gli sguardi, i sorrisi dei protagonisti, in primi piani che ti bucano il cuore. I suoi interrogativi brevi nascono dal silenzio e muoiono nel silenzio, sempre così. Riesce ancora una volta a creare poesia inquadrando tutto quello che di più grigio si può trovare in mezzo al cemento, tra le onduline di eternit e le case povere del quartiere Borgo Vecchio, periferia vicina al centro di Palermo, con la forza di un commento sonoro che arriva al profondo delle emozioni. Le vite semplici che indaga ci restituiscono una pienezza di sentimenti pur nell’assenza di mezzi materiali. Pathos ed energia, dolore e speranza, abbandono e rinascita. Dialogo misurato, lento, pensieri scanditi. Domenico parla per ascoltare, ascolta per narrare, racconta per esprimere, coinvolgere, rendere noto.
La dignità di Martino, lavoratore, credente e devoto, fiero della sua inesauribile passione per la musica che non trascura mai, nemmeno per un giorno, sempre accanto alla stessa donna con cui ha costruito, mattone su mattone, una famiglia numerosa che si riunisce nelle feste comandate attorno allo stesso tavolo. Martino canta, suona, sorride. E sorride anche sua moglie, che racconta con lui la semplicità del loro vissuto. Poi c’è chi ha perso due degli innumerevoli figli, chi aggiusta le biciclette dei ragazzi gratuitamente, chi racconta l’orgoglio dei figli laureati. Storie sincere che ci portano ad un totale coinvolgimento, mentre da casa cantiamo con Martino le parole della splendida Se bruciasse la città.
Carmelo, Roberto, Alessio, Mark cinque anni addietro erano bambini, a loro Iannacone chiede del loro presente. Due di loro hanno fatto fuitina, uno è già padre e l’altro lo diventerà a breve.
Questi ragazzi, che potrebbero essere ancora degli studenti, parlano delle responsabilità più grandi di loro che si assumono nel costruire il proprio destino. Il lavoro, le possibilità e i desideri, andare via o restare, il reddito di cittadinanza come mezzo per arrivare a camminare con le proprie gambe, per poter crescere i figli e formare la nuova famiglia con dignità. Sempre sorridendo, sempre con gli stessi occhi puri di allora.
Immagini del passato si mescolano a quelle del presente, in un crescendo in cui dall’iniziale smarrimento per i loro destini si acquisisce la consapevolezza dell’equilibrio e dell’armonia di una dimensione ridotta all’essenziale per vivere ma con un grande senso di appartenenza a una comunità in cui il vicino tende la mano del poco che ha. E’ triste vedere asili murati, strutture abbandonate che tornano al silenzio da cui erano uscite grazie all’impegno costante di Christian Picciotto, rapper e operatore sociale che per una decina d’anni ha curato, anche attraverso il rap, la dispersione scolastica di questi e altri giovani con il suo progetto, perseguendo parecchi buoni traguardi, missione bloccata dalla scorsa estate per mancanza di nuovi finanziamenti. Picciotto ha dovuto reinventarsi per dare continuità alla sua opera e alla sua vita con una nuova realtà, nella quale la costante è la presenza della musica. Ed è a questo punto che ci viene regalata una canzone (Diario, di prossima uscita) eseguita voce e chitarra da Bruna Angelico, giovanissima cantautrice dalla voce delicata e soave.
Arrivano ora a Domenico Iannacone meritati riconoscimenti che noi da tempo gli abbiamo attribuito. Grazie Domenico per la tua gentilezza, per le tue storie, per i sogni che scopri dentro alle persone che racconti, grazie per l’eleganza con cui ti soffermi sulla realtà, quella che non sappiamo nemmeno immaginare ma che esiste in angoli sconosciuti del nostro Paese e che rendi visibile grazie ai tuoi occhi buoni. Grazie per quelle pause, per le tue rughe, per il tuo stupore, per la meraviglia del tuo bambino interiore, per la tua infinità umanità che arriva fino al fondo riuscendo a trovare nuova umanità. Grazie per la commozione che non riusciamo a trattenere. Infine grazie a questi attori che recitano senza copione sulla sceneggiatura non scritta delle loro vite inchiodandoci allo schermo come per la più avvincente trama di un film.