Quanto ha contato la speculazione nel determinare l’impennata dei prezzi dei gas in Italia negli ultimi mesi? Il primo a parlare di “aumenti ingiustificati” e addirittura “truffa“ sui prezzi dell’energia era stato, a metà marzo, Roberto Cingolani. Poi alle dichiarazioni del ministro era seguito un articolo di Carlo Cottarelli secondo cui i rincari delle bollette sarebbero stati superiori a quanto giustificato dall’aumento dei costi di importazione. Ma quelle conclusioni sono state poi in parte smentite dalla revisione al rialzo dei dati Istat sul valore del metano importato. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto un parere a tre esperti ed addetti ai lavori che della questione – cruciale per i bilanci di famiglie e imprese – danno interpretazioni diverse.
Partiamo da Cottarelli. Dalla seconda metà del 2021, osservava su La Stampa l’economista ed ex commissario alla spending review, il divario tra i costi all’importazione del gas e le quotazioni sul mercato Ttf di Amsterdam è lievitato, raggiungendo un rapporto di 1 a 6. Questo perché, spiegava, gli importatori acquistano il metano attraverso contratti a lungo termine e a prezzi fissi e lo rivendono sul mercato a valori esorbitanti. Ma poche ore dopo l’Istat – sui cui dati era basato l’articolo – ha fatto sapere che a causa di “anomalie sui dati” il costo delle importazioni era stato sottostimato. Le cifre aggiornate mostrano che il numero corretto per gli ultimi sei mesi del 2021 è più che doppio rispetto a quello dichiarato inizialmente: 12 miliardi di euro contro i precedenti 5,83. Il rapporto tra costo all’importazione e prezzo al Ttf si riduce perciò a 1 contro 2,2. Seppure ridimensionata, tuttavia, la differenza rimane elevata.
Secondo Massimo Nicolazzi, professore all’università di Torino con un’esperienza decennale come manager di Eni e Lukoil, il motivo non sono i contratti di lungo termine. “I contratti a prezzo fisso non esistono”, liquida la questione il docente, secondo cui “dall’assurdità del prezzo attuale guadagna il produttore non il grossista o i venditori“. I profitti record “derivano non dal fatto che si fa trading ma perché si è venuto a creare un disequilibrio di domanda e offerta” sottolinea Nicolazzi. Infatti, la maggior parte degli accordi di fornitura a lungo termine è indicizzata alle quotazioni degli hub, come conferma anche una nota di Gazprom dell’anno scorso. Il 56,1% del portafoglio export del colosso energetico russo risulta legato a contratti “del giorno prima” e del “mese prima”, il 30,9% ai future (a tre mesi, quattro mesi, un anno), il 13% al petrolio. “Un contratto di lungo periodo dovrebbe prezzare il gas di più di un contratto spot, perché nel primo caso il venditore deve sobbarcarsi, almeno in parte, gli oneri di flessibilità e di modulazione”, spiega Nicolazzi. “Se il compratore ha il diritto di ritirare meno del 100% dei volumi giornalieri stabiliti, il produttore per la differenza deve sopportare il costo di ridurre la produzione o di stoccarne una parte”. A influire sui prezzi sono soprattutto i panieri a cui viene agganciato il metano: dunque i guadagni in effetti ci sono ma “gli importatori guadagnano, in parte, se hanno contratti di fornitura indicizzati al petrolio, che è aumentato del 100% contro il 500% del gas”.
Anche per Davide Tabarelli, fondatore di Nomisma Energia, a spingere i prezzi è stata soprattutto la crescita globale del consumo di metano. L’eccessiva esuberanza dei mercati finanziari, però, potrebbe aver influito. “I volumi di transazioni su Ice di contratti Ttf sono esplosi ma questo accade anche negli Stati Uniti con il petrolio” sottolinea Tabarelli. “Più che di speculazione si potrebbe parlare di finanziarizzazione dell’economia globale”, un processo che è in atto da decenni. Insomma, il problema è di carattere generale e non può essere ridotto soltanto alle scommesse di qualche operatore. Per il fondatore di Nomisma Energia, la soluzione passa per un riequilibrio del mercato. Infatti, nonostante la crescita dei prezzi, la domanda di gas, almeno in Italia, è diminuita di poco: del 10% per l’industria e del 2% per l’economia nel suo complesso, compresi i consumi domestici. “Certo, i valori attuali sono molto elevati se li si rapporta ai costi di produzione delle imprese tedesche o italiane”, prosegue il fondatore di Nomisma, “ma non lo sono ancora “troppo”: i prezzi, infatti, cominciano a scendere solo quando la domanda di metano inizia a calare”.
Secondo il direttore generale dell’Agenzia delle accise, delle dogane e dei monopoli, Marcello Minenna, la crescita dei prezzi del gas sull’hub Ttf è stata causata invece in buona parte da dinamiche speculative, come prova la differenza di oltre il 100% tra il costo all’importazione, registrato dai dati delle dichiarazioni doganali, e i valori alla Borsa di Amsterdam. A fine febbraio – inizio marzo, mentre il metano importato in Italia costava 0,60 euro al metro cubo, nei contratti forward è arrivato a quotare 1,60 euro. Un divario che è piuttosto insolito, soprattutto se si guarda agli anni passati, quando i due valori erano perfettamente allineati. “Di recente”, spiega Minenna, “complice la grande iniezione di liquidità sui mercati finanziari, gli operatori non hanno effettuato solo operazioni di copertura e arbitraggio ma anche operazioni che esprimono dinamiche speculative”. Ma cosa ha determinato l’esplosione delle quotazioni del gas? “È successo che a fine anno gli operatori di mercato hanno ritenuto che i prezzi dell’energia degli ultimi mesi fossero troppo alti e quindi hanno scommesso al ribasso“. In pratica, c’è stata un’ondata di vendite allo scoperto di contratti future sul gas nella convinzione, da parte degli intermediari finanziari, che le quotazioni di energia e materie prime sarebbero scese. “Gli è andata male: purtroppo è arrivato il cigno nero, la guerra, e i prezzi, invece di diminuire, sono aumentati”. Gli operatori sono stati dunque costretti a ricoprirsi, acquistando gas e facendo lievitare ulteriormente le quotazioni. “Il risultato è stata una spirale rialzista” oltre a quella causata dalla guerra con il picco di oltre 2 euro a metro cubo di inizio marzo. Secondo l’economista, “circa il 60% dell’aumento dei prezzi è stato determinato da dinamiche speculative e non dall’evento bellico”.