I dati emergono dall’indagine che ogni anno il gruppo consiliare del Pd fa sull’applicazione della 194 in Regione, raccogliendo i dati da tutte le strutture delle Asst lombarde. La consigliera dem Paola Bocci: "Non su tutto il territorio regionale è assicurato il diritto di libero accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, ma soprattutto il diritto di poter scegliere come farla”
Il problema dei ginecologi obiettori di coscienza irrisolto da anni, l’utilizzo della pillola Ru486 che a differenza di altre regioni non decolla, pochi consultori pubblici. Sono le principali note dolenti in Lombardia in quanto ad applicazione della legge 194 sull’aborto. Tanto che per la consigliera regionale del Pd Paola Bocci, “non su tutto il territorio regionale è assicurato il diritto di libero accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, ma soprattutto il diritto di poter scegliere come farla”. Un esempio? In provincia di Sondrio, tutti i 100 aborti dell’anno scorso sono stati eseguiti per via chirurgica, nessuno per via farmacologica con la Ru486, una soluzione meno invasiva.
Il dettaglio emerge dall’indagine che ogni anno il gruppo consiliare del Pd fa sull’applicazione della 194 in Regione, raccogliendo i dati da tutte le strutture delle Asst lombarde. Dati che si inseriscono in un contesto di costante diminuzione del numero di aborti, passati dai 13.499 del 2017 ai 9.888 del 2021: “La 194 è quindi ancora uno strumento efficace, capace di raggiungere l’obiettivo che si era data, ossia ridurre drasticamente il ricorso all’aborto – dice Bocci -. Ma a tale riduzione non deve corrispondere una riduzione del diritto di accesso al servizio. E la percentuale complessiva di utilizzo della Ru486 nel 2021 è del 35%, molto più bassa rispetto ad altre Regioni”.
In sette ospedali obiettori al 100% – In Lombardia la media dei ginecologi obiettori di coscienza si è attestata nel 2021 al 60%. Il fenomeno è in calo (nel 2017 era obiettore il 66,1% dei ginecologi), ma la Lombardia certo non brilla rispetto ad altre Regioni, alcune delle quali già nel 2019 (anno cui si riferisce l’ultima relazione del ministero della Salute sull’attuazione della 194) avevano percentuali di obiezione più basse: per esempio l’Emilia Romagna (49%), la Toscana (55,4%), il Friuli Venezia Giulia (53,7%).
In sette ospedali lombardi il livello di obiezione tra i ginecologi è ancora al 100%: in quelli di Saronno (Varese), Gardone val Trompia, Montichiari e Iseo in provincia di Brescia, Oglio Po (Cremona), Romano di Lombardia (Bergamo), Asola (Mantova), unica tra le sette strutture che utilizza i ginecologi gettonisti a chiamata.
Le province con il tasso di obiezione di coscienza più alto, cioè oltre il 75%, sono Mantova, con l’esclusione del capoluogo, Bergamo, Varese e Brescia. La città metropolitana di Milano, la provincia di Lodi e quella di Sondrio sono invece quelle con valori mediamente più bassi, sotto il 50%. “In diverse province l’obiezione lascia scoperti territori ed è necessario spostarsi anche di molto rispetto al luogo in cui si vive – fa notare Bocci -. Così, le strutture che accolgono più utenza anche fuori dal territorio allungano le liste d’attesa”.
“Ru486: utilizzo basso e disomogeneo” – In Lombardia gli aborti per via farmacologica con somministrazione della Ru486 sono stati nel 2021 il 35% di tutte le interruzioni volontarie di gravidanza. La quota è in crescita (nel 2017 era l’8,2%), ma rimane molto più bassa rispetto ad altre Regioni paragonabili per dimensioni e qualità del servizio sanitario: “Nel 2021 Toscana ed Emilia Romagna hanno superato il 50%, nel 2019 il Piemonte era al 45,6%, la Liguria al 44%”, fa notare la consigliera del Pd, che nel 2018 ha sollecitato la giunta Fontana perché la somministrazione di Ru486 passasse dalla necessità di un ricovero di tre giorni al regime di day hospital: “L’allora assessore al Welfare Giulio Gallera ha inserito questa modifica nelle linee guida dal 2019, ma la modifica non è mai stata ratificata da una determina formale come avvenuto in altre Regioni. Un miglioramento nelle percentuali di utilizzo c’è stato solo a partire dal 2020, anche indotto dalla pandemia, che ha portato a optare per interventi non chirurgici. Ma non tutte le strutture hanno colto l’occasione e la crescita è molto disomogenea, tanto che restano intere zone della Lombardia dove la Ru486 non viene erogata”. Per esempio la provincia di Sondrio, ancora ferma a zero interruzioni di gravidanza farmacologiche. O l’hinterland milanese, dove la Ru486 viene somministrata, su sette strutture, solo nell’ospedale di Vizzolo Predabissi.
Oltre che alla Ru486, l’indagine del Pd si è rivolta anche all’utilizzo della cosiddetta pillola del giorno dopo sulla base dei dati di Federfarma. Le vendite delle due pillole EllaOne e Norlevo erano passate in Lombardia da un volume di quasi 90.000 nel 2019 a 74.304 del 2020, una flessione probabilmente dovuta anche al lockdown per il Covid. Nel 2021 le vendite sono risalite a 83.748 (un quarto delle quali a Milano città), un volume comunque inferiore alle 85.212 del 2017: “Non c’è stata la corsa ai contraccettivi d’emergenza paventata dal centrodestra dopo la rimozione di ottobre 2020 dell’obbligo della ricetta per le minorenni”, dice Bocci.
“Pochi consultori e mal distribuiti” – Sull’accompagnamento all’interruzione volontaria di gravidanza può essere centrale il ruolo dei consultori pubblici, mentre quelli privati accreditati, spesso a matrice confessionale, operano in deroga rispetto alle prestazioni garantite dalla legge 194. Ma i consultori pubblici, accusa Bocci, sono troppo pochi: “Il loro numero in ogni provincia è inferiore allo standard di uno ogni 20mila persone. E sono anche distribuiti in maniera diseguale, con un minimo in provincia di Cremona: uno ogni 87.822 abitanti”. Per questo, tra le proposte della consigliera del Pd, oltre all’istituzione di un osservatorio regionale sull’attuazione della 194, c’è il potenziamento quantitativo e qualitativo dei consultori pubblici, dove poter introdurre la somministrazione della Ru486.