Non c’è soltanto il caso Regeni. Quello dell’impunità in Egitto, è la denuncia di associazioni e ong italiane ed egiziane come Amnesty International Italia, Committee for Justice, EgyptWide for Human Rights e Arci Nazionale, nel corso di una conferenza a Roma, è “un fenomeno endemico” con “rapimenti, torture, negligenza medica ed esecuzioni extragiudiziali diventati sempre più comuni nel paese nordafricano sotto lo stato di emergenza (2017-2021), e ancora oggi in atto”.
Dopo l’ennesimo stop al processo sull’omicidio del ricercatore italiano, di fronte alla mancata collaborazione del Cairo e alla volontà sistematica di depistare e coprire i responsabili del rapimento, delle torture e della morte di Giulio Regeni, l’appello rivolto al governo è quello di una svolta nei rapporti con il Cairo, per rivendicare una volta per tutte verità e giustizia sia sul suo caso, che su tanti altri. L’ultimo, denunciano le Ong, da poco noto, legato alla sparizione e alla morte di un ricercatore egiziano, Haiman Hadhoud, “prima apparso nella sede della National Security Agency, gli stessi 007 accusati sul caso Regeni, e poi ritrovato morto dopo due mesi dalla scomparsa”.
Per questo, denuncia in particolare EgyptWide, è necessario “stoppare la cooperazione militare e quella tra le polizie tra Italia ed Egitto”, dopo l’esperienza del progetto Itepa. Già nel 2019 non mancarono le polemiche per la presenza a Roma dei vertici della polizia egiziana per un workshop di formazione, a due anni dall’accordo sulla gestione dei flussi migratori (insieme ai colleghi di 22 diversi Paese africani, ndr) con ospite d’onore Ahmed Ebrahim, assistente del ministro dell’Interno e presidente dell’Accademia di polizia del Cairo. Un progetto, poi prorogato dopo la fine del primo esperimento pilota, già allora denunciato con un’interrogazione parlamentare da Erasmo Palazzotto, ora deputato Pd e già presidente della commissione parlamentare sulla morte di Giulio Regeni.
“Itepa rientra in una strategia più complessiva italiana ed europea che riguarda l’esternalizzazione delle frontiere, ovvero l’appalto a Paesi che non hanno i nostri stessi standard sui diritti umani della gestione dei flussi migratori, con l’idea che la formazione possa migliorare quegli stessi standard. Ma le notizie che arrivano dal fronte meridionale dell’Europa raccontano di un fallimento di questa strategia“, spiega ora Palazzotto, a margine del convegno organizzato a Roma. Anche perché, ricorda pure Alice Franchini, di EgyptWide, “gli standard europei sono gli stessi degli accordi con la Libia (e la cosiddetta ‘guardia costiera’ libica, in realtà trafficanti e milizie), con cui Paesi terzi sono sostenuti a livello finanziario per effettuare respingimenti e mettere in piedi strutture detentive, veri e propri lager, senza alcun rispetto dei diritti umani”.
“L’Italia dovrebbe fermare le esportazioni di armi verso il Cairo e stoppare gli addestramenti comuni, considerato l’aumento della cooperazione negli ultimi anni. O quantomeno servirebbe verificare se chi viene formato si è macchiato di abusi“, denuncia il direttore di EgyptWide, Sayer Nasr, oggi rifugiato politico in Italia, dopo essere stato arrestato due volte in Egitto per il suo attivismo sul campo dei diritti umani. “Detenzioni, torture, maltrattamenti sono la realtà quotidiano in Egitto. Questo è il Paese che consideriamo un partner e nel quale non si può parlare di giustizia. Dato che per le stragi in piazza del 2013 contro i manifestanti, con 900 vittime, non si ha ancora alcun responsabile. Allo stesso modo come oggi il Cairo nega collaborazione sul caso Regeni”, spiega pure Tina Marinari, di Amnesty.
Di fronte all’appello della famiglia Regeni al governo Draghi per esigere verità e giustizia dal regime di Al Sisi, ora da EgyptWide rivendicano: “Il nostro Paese non può essere credibile finché considera l’Egitto un partner ineludibile”. E lo stesso Palazzotto avverte: “In un momento in cui (dopo l’invasione russa in Ucraina, ndr) si sta cercando di emanciparsi dal gas russo, diversificando le fonti di approvvigionamento, il rischio è di creare nuove dipendenze da Paesi autoritari, lo stesso Egitto al quale stiamo guardando”. E ancora: “Autocrazie e dittature vanno condannate sempre, sia quando sono nostre rivali sul piano geopolitico e commerciale, sia quando sono considerati partner, come Egitto, Turchia, Arabia Saudita. Paesi che anche sulla vicenda della guerra in Ucraina, lo dimostrano alcuni voti all’Onu, hanno esplicitato da che parte stanno. Se l’Europa vuole affrontare la sfida storica che ha davanti, deve a sua volta scegliere da che parte stare”.