In un armadietto della caserma dell’esercito di Verona era stata trovata una “merendina”, vietata dal regolamento militare. Per questo era scattata la punizione nei confronti delle reclute, costrette ad effettuare flessioni sulle braccia. Poi però il sergente aveva decisamente esagerato, sferrando un calcio al costato di uno dei soldati. A distanza di cinque anni dai fatti è arrivata la condanna definitiva in Cassazione per “violenza contro un subordinato”. La pena inflitta all’imputato, un 42enne originario di Cosenza, è stata di cinque mesi e dieci giorni con la sospensione condizionale, oltre a una sanzione di tremila euro.
L’episodio si era verificato il 14 dicembre 2017 ed è stato rievocato nelle aule dei Tribunali militari fino all’epilogo. Il comandante di Compagnia aveva ordinato un’ispezione nelle camerate. Ed ecco saltar fuori da un armadietto “un pacchetto di merendine, genere vietato dai regolamenti interni”. Il sergente, di conseguenza, “ordinava per punizione a tutti i militari presenti in camerata di fare dei piegamenti sulle braccia”. Una delle reclute non era riuscita a completare gli esercizi a regola d’arte. A quel punto, come è stato raccontato dal giovane, il sergente lo ha chiamato per nome. Un avvertimento, seguito dalla minaccia: “Non sai che posso diventare più cattivo”. Dalle parole ai fatti: il superiore gli aveva sferrato un calcio al costato. Gli altri soldati presenti nella camerata hanno dichiarato di non aver visto la pedata, poichè erano intenti ad eseguire le flessioni, ma di averne potuto verificare gli effetti sul collega, che appariva dolorante.
Il giovane non si era recato in ospedale perché temeva, in caso di ricovero o di una prognosi di malattia, di non poter partecipare alla cerimonia di giuramento prevista per il giorno dopo. Così non aveva presentato denunce, ma durante il fine settimana aveva beneficiato di una licenza e si era recato a casa, raccontando ai familiari l’episodio. Il padre lo aveva convinto a denunciare l’accaduto ai superiori, i quali gli avevano detto di recarsi al pronto soccorso dell’ospedale di Verona. Gli era stata diagnosticata una contusione al torace guaribile in due giorni. Davanti ai giudici il sergente ha sempre respinto le accuse, mentre i suoi difensori hanno insistito sulla mancanza di testimonianze dirette. La condanna di primo grado del Tribunale militare di Verona è stata confermata in appello a Roma ed ora dalla Cassazione.