Cinema

Ali&Ava – Storia di un incontro, un piccolo grande film anche da ascoltare

L'opera, diretta da Clio Barnard, ha le sembianze proletarie di una ballata romantica di Ken Loach immersa in armonie ritmiche techno

di Davide Turrini

Nel mezzo di un complesso periodo distributivo per le sale cinematografiche italiane vorremmo darvi un consiglio col cuore e con… le orecchie. Andate a vedere a tutti i costi, dal 14 aprile, Ali &Ava (sottotitolo italiano: “Storia di un incontro” – e cosa sennò?). Si tratta di un piccolo grande film, diretto da Clio Barnard, con le sembianze proletarie di una ballata romantica di Ken Loach immersa in armonie ritmiche techno.

Il luogo, intanto, dove si svolge la storia è Bradford, uno di quei bastioni grigi e fumosi dello Yorkshire, Nord Inghilterra, che potrebbero richiamare lo skyline del dimenticato e cruciale Free Cinema. Le casupole d’antan, identiche, una fianco all’altra quasi non si scorgono nei dettagli. Fa freddo e nelle collinette ultra periferiche della città si mescolano origini extrainglesi di ogni genere. Ava (Claire Rushbrook) è un’insegnante di sostegno di origini irlandesi, vedova, figli e nipoti che gocciolano come pioggia, sorriso grande e occhi azzurri. Ali (Adeel Akhtar), è un dj oggi taxista di origine pakistane, matrimonio fallito con consorte giovane che vive ancora al piano di sopra per non farlo sapere ai genitori che stanno di sotto, barbone lungo e folto, cappelletto con visiera schiacciato quasi a coprirgli lo sguardo. I due si incontrano per caso davanti alla scuola di lei. Scoprono che nonostante i gusti differenti la musica li lega in modo misterioso e profondo. Poi si frequentano, giocosi, spiritosi, liberi. Chiaro che c’è chi nelle rispettive famiglie allargate non vuole che questo accada (il figlio iperprotettivo per lei, la sorella tradizionalista per lui), ma sono nuance narrative dentro al trascinante vortice visivo sonoro del film che continua a pompare come un flusso ininterrotto.

La liaison sentimentale è anagraficamente inusuale, Ali e Ava sono in quella fascia indistinta e critica che sta poco oltre i quaranta e non arriva ai cinquanta, ma è proprio in questa apparente dimensione della maturità che si riscrive la crisi di anime e la si trascina dentro un impasto di brani musicali folk, pop, rap, techno, da far battere sempre il ritmo interiore allo spettatore. Attenzione però, perché qui viene il bello. Mentre la macchina da presa della Bradford nemmeno si “sente” dentro ad uno spazio che fagocita senza pareti e limiti fisici come già suo, è l’idea che in primis l’anima di Ali si debba “sentire” tra il mescolarsi di basi ascoltate in cuffia, ballate sul tetto dell’auto, composte per dare un senso al proprio essere, proposte ad Ava per comunicare le proprie fragilità. Insomma, film magico e sognante sì, ma anche terribilmente ancorato in una terra umidissima e sferzata dal vento che si illumina solo di sera con fuochi d’artificio lontani all’orizzonte. Akthar era il protagonista del celebre Four Lions. La Rushbrook era la figlia della protagonista in Segreti e bugie di Leigh. In Ali &Ava c’è poi una persona addetta solo alla “progettazione del suono”: mister Rashad Hall-Heinz. E capirete perché.

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