“Lo smart working abbatte i costi aziendali, riduce drasticamente l’inquinamento ambientale, aumenta la produttività del lavoratore e l’efficienza del servizio”: queste le parole, poi sancite anche da numerosi studi scientifici, che da più parti abbiamo ascoltato nel corso della pandemia da Covid-19.

Parole che facevano sperare in un futuro socialmente più sostenibile, parole che ridisegnavano un’idea di progresso da tempo immemore caduta all’ombra di un dilagante pessimismo distopico: parole che però non avevano fatto i conti con le metastasi di una politica incapace di rappresentare gli interessi della collettività, ideologizzata e masochisticamente passatista. Parole, in buona sostanza, che non avevano considerato la possibilità di imbattersi in Sua Disgrazia Renato Brunetta, uno tra i politici dell’ancien régime italico tornati alla ribalta col governo dei migliori al preciso scopo di peggiorare la vita di un’importantissima fetta del popolo italiano.

“Basta fare finta di lavorare!”, è così, con un slogan tanto sciocco quanto offensivo, privo di qualsiasi riscontro oggettivo e al tempo stesso figlio di una visione distorta, malfidata e disonesta della società italiana, che il forzista Brunetta ha cancellato ogni sorta di effettivo progresso lavorativo uccidendo al tempo stesso quell’unica speranza sortita da uno dei periodi più bui dell’intera storia recente: il suo catastrofico intervento ha di fatto obbligato al rientro tutti quei lavoratori le cui mansioni potrebbero perfettamente essere svolte da casa con maggior serenità, produttività, a costi azzerati e impatto ambientale zero.

Ed ecco dunque che Stefano, insegnante di conservatorio, è obbligato a spostarsi in macchina di circa 800 km, calcolando l’andata e il ritorno, per dare lezioni online ad alunni coi quali non intrattiene alcun rapporto fisico essendo gli stessi collegati da remoto: è obbligato, nonostante l’evidente assurdità, a erogare i suoi insegnamenti dai computer della sede lavorativa quando, restando a casa, potrebbe garantire performance di gran lunga migliori disponendo di un ambiente lavorativo attrezzato che la stessa sede lavorativa non può in alcun modo garantire.

Quanto costa questo a tutti gli Stefano d’Italia? Quanto all’ambiente in termini di inquinamento? Quanti soldi risparmiati potrebbero essere spesi nell’economia reale per un suo effettivo rilancio? Quanto costa ai suoi alunni, che potrebbero beneficiare di lezioni qualitativamente molto più accurate se svolte da uno studio attrezzato quale quello casalingo? E infine, da quanto ideologico disprezzo nascono politiche tanto dissennate e passatiste? Perché non si ha avuto la lucidità di operare dei dovuti distinguo tra situazioni lavorative diverse per tipologia, servizio offerto e termini contrattuali?

La politica che taglia con l’accetta e secondo dettami ideologici appartenenti a epoche remote, che novecentescamente finisce per fare un enorme regalo alle compagnie petrolifere, che non scende nel dettaglio, nella fattispecie, che non approfondisce e non studia, che non analizza, che, in una parola, non lavora e non serve. Dunque, in effetti, “Basta fare finta di lavorare, Brunetta, dimettiti!”.

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