Prendi un po’ di petrolio russo, mischialo con un altro e il gioco è fatto. Come racconta Javier Bias, esperto di Bloomberg sulle materie prime, diverse compagnie europee, Shell in testa, si danno da fare con questi trucchetti. Il greggio russo arriva in Lettonia, viene composta una miscela al 49% di petrolio russo e al 51% di greggio di un altro paese, e il barile non è più russo e non più soggetto a sanzioni e limitazioni. In questo modo le raffinerie salvano capra e cavoli. Bella figura con l’opinione pubblica, rispetto formale dei bandi di Usa, Canada e Gran Bretagna (i primi due in vigore da fine aprile, quello di Londra a fine 2022) e super incassi garantiti dal greggio russo, in questo momento venduto sui mercati a forte sconto. A parole gli acquista dalla Russia diminuiscono, nella realtà aumentano o rimangono comunque costanti.
Nel caso di Shell (prima compagnia petrolifera privata al mondo) , spiega Bias, la società ha modificato i cosiddetti termini e condizioni generali dei suoi contratti per consentire la commercializzazione della nuova miscela. La nuova formulazione recita: “Le merci sono considerate di origine russa se prodotte in Russia o se il 50% o più del loro contenuto (in volume) è costituito da materiale prodotto in Russia”. E infatti il mix avviene oltre il confine russo. Al contrario la francese Total e la spagnola Repsol hanno esplicitamente affermato che non devono essere acquistati carichi che contengano anche solo una parte di petrolio russo. Interpellato da IlFattoquotidiano.it il gruppo Eni ribadisce di aver “sospeso la stipula di nuovi contratti relativi all’ approvvigionamento di greggio dalla Russia. E in ogni caso opererà nel pieno rispetto di quanto stabilito dalle istituzioni europee e nazionali” senza però aggiungere altre indicazioni sulla questione delle miscele.
Nel mercato petrolifero, i commercianti sussurrano di una “miscela lettone”, utilizzata principalmente per ottenere gasolio. Tipicamente il carico di greggio russo parte dal porto di Primorsk, vicino a San Pietroburgo, e arriva a Ventspils, un porto in Lettonia che ospita un grande terminal petrolifero e ha una grande capacità di stoccaggio. Qui viene composta la miscela. La vicenda è curiosa anche perché Lettonia, Lituania ed Estonia, a differenza degli altri paesi Ue, hanno annunciato uno stop all’import di idrocarburi russi.
Procedimenti simili avvengono però anche in Olanda oppure in mare aperto con trasferimenti da nave a nave. Queste tecniche ricordano quelle utilizzate in passato per immettere sul mercato greggio iraniano o venezuelano, entrambi oggetto di sanzioni. In questi casi si parlò di “miscela malese” o “miscela Singapore” visto che i carichi erano usati per lo più in estremo oriente. Il mese scorso Shell si è pubblicamente scusata per aver acquistato un carico di un milione di barili russi venduto dal colosso del trading di materie prime Trafigura.
I profitti sono stati destinati dalla compagnia inglese ad un fondo per l’aiuto alla popolazione ucraina. L’uscita dalle attività russe ha comportato per Shell perdite di bilancio stimate in tre miliardi di euro. Tra i principali azionisti di Shell ci sono il fondo di investimento della banca centrale norvegese (2,8%), Blackrock (4,2%), Vanguard (2,5%). Nel frattempo, nel Regno Unito, mercato che Shell presidia con una quota di mercato del 13,5%, l’aumento record dei prezzi della benzina e del diesel è stato uno dei principali fattori a spingere l’inflazione al 7% nel mese di marzo, ai massimi da 30 anni. I prezzi medi della benzina sono aumentati di 12,6 pence al litro tra febbraio e marzo, il maggiore incremento mensile dal 1990.