Il presidente del Messico resta in sella. Dopo il referendum di domenica 10 aprile, Andrés Manuel López Obrador potrà mantenere la carica fino alla scadenza del mandato presidenziale, a settembre 2024. “Una notte storica”, ha commentato il Capo dello Stato che incassa però una vittoria a metà. Se è vero che per la prima volta nella storia del Paese si è tenuto un referendum di metà mandato per confermare o meno un presidente eletto – “un esempio di democrazia”, secondo Amlo, come viene comunemente chiamato il presidente – e che questo referendum ha consegnato una netta prevalenza di voti a lui favorevoli, oltre il 90%, è vero anche che la partecipazione è stata al di sotto del 20%. Perché il voto fosse vincolante, come previsto dalla novità introdotta con la modifica della Costituzione nel 2019 dallo stesso presidente, che ha fortemente voluto questa verifica di metà mandato, era necessario raggiungere un quorum del 40% degli aventi diritto.
“Accetti di revocare il mandato del presidente per perdita di fiducia, o vuoi che continui a essere presidente della Repubblica fino alla fine del suo mandato?”. Questo era il quesito a cui erano chiamati a rispondere quasi 93 milioni di elettori messicani. Un “mandato revocabile” previsto dalla Costituzione, come aveva promesso in campagna elettorale López Obrador, in carica dal 1 dicembre 2018. Come comunicato dall’Istituto elettorale nazionale (Ine) messicano, secondo un conteggio rapido, tra il 90,3% e il 91,9% dei votanti ha confermato la fiducia nel presidente, del partito di sinistra Morena. Ovvero poco meno di 16 milioni di voti. Tra il 6,4% e il 7,8% di chi si è recato alle urne, invece, ha optato per la revoca del mandato. Ma l’affluenza totale si è fermata tra il 17% e il 18,2%: poco più di 17 milioni di messicani.
“Non tradirò mai il popolo messicano, rimarrò e continueremo a cambiare il nostro Paese”, ha commentato a caldo Amlo con un videomessaggio diffuso sui social. “In Messico non c’è un re, né un oligarchia al comando. È il popolo a essere sovrano”, ha aggiunto il 68enne presidente, con una lunga carriera politica alle spalle. I sondaggi gli davano una percentuale rassicurante di consenso, tra il 57% e il 60%. Ecco perché le opposizioni hanno preferito disertare le urne. “Ai conservatori dico che la democrazia è questo: si vince e si perde. Ma non si può essere democratici solo quando conviene o quando si vogliono mantenere alcuni privilegi”.
Per la verità, Amlo aveva promesso che si sarebbe dimesso in caso di sconfitta, anche se il quorum non fosse stato raggiunto. Per lui quindi è una vittoria della democrazia, che intende far evolvere da quella rappresentativa a quella “partecipativa”, nel solco della Quarta Trasformazione promessa in campagna elettorale, un percorso di moralizzazione della politica e delle classi dirigenti legata alla riduzione degli abusi, alla lotta alla corruzione e alla partecipazione popolare.
Secondo le opposizioni, invece, questo referendum – già adottato in Venezuela e in Bolivia – era solo uno strumento propagandistico per rinvigorire l’immagine del presidente stesso, con alti costi per le casse dello Stato. Tra le critiche ricevute da Amlo, quella secondo cui sono lontani i 30 milioni di voti ottenuti alle elezioni presidenziali. Dopo le elezioni di medio termine dello scorso anno, Morena e le liste alleate hanno perso la maggioranza qualificata (due terzi) al Congresso, pur rappresentando ancora oltre la metà dei membri della Camera. Eppure il bagno elettorale ha premiato il conducente del convoglio messicano, nonostante le polemiche legate alla partecipazione: rispetto alle normali procedure di voto di un’elezione federale sono state installate solo 57mila cabine elettorali, ovvero circa un terzo. Lo stesso Obrador ha ricordato che, nonostante le difficoltà, in tanti hanno raggiunto i seggi, anche a parecchi chilometri di distanza (“a piedi, in macchina, a cavallo…”). In alcune zone rurali, dove il presidente gode di ampi consensi, lunghe carovane di messicani hanno formato dei cortei “elettorali”.
Chiuso questo capitolo, restano due anni e mezzo di mandato in un Paese che al momento trasmette immagini di stabilità. Dopo 70 anni di dominio da parte del Pri (il Partito rivoluzionario istituzionale), culminati nelle privatizzazioni delle imprese statali degli anni ’80-’90 e nel Trattato di libero scambio con Usa e Canada (il Nafta, firmato nel dicembre ’92), il Messico vive ora una fase di contrasto al potere delle élite. Durante il mandato di Amlo sono stati rafforzati gli interventi di welfare, a partire dal salario minimo, con una maggiore presenza dello Stato nell’economia. Pochi giorni fa la Corte suprema messicana ha convalidato la legge sull’industria elettrica voluta dal presidente, accusata di incostituzionalità perché mira a limitare la proprietà privata nel settore dell’energia. Allo stesso modo prosegue l’iter per la costruzione del treno Maya, nonostante gli stop and go della magistratura e l’opposizione di alcune comunità locali. Un quadro complesso, a cui si aggiungono la crisi dei migranti alla frontiera con gli Stati Uniti e le annose questioni di criminalità. Dai narcos alla violenza contro le donne e i giornalisti: sei uccisi nel 2022. Ma Amlo può tirare un sospiro di sollievo dopo la conferma elettorale. Una curiosità: per non votare né a favore né contro se stesso, il presidente ha scritto sulla propria scheda “Viva Zapata!”, in onore di uno dei leader della rivoluzione messicana. Il 10 aprile, giorno del voto, ricorrevano i 103 anni dal suo assassinio.