Una tragedia inesauribile. Mentre i riflettori del mondo sono puntati sulla terribile guerra in Ucraina, migliaia di migranti continuano a trovare la morte mentre cercano di approdare sulle nostre coste. In fuga da altri conflitti, persecuzioni, barbarie. Il mare che uccide, per il cinismo e l’indifferenza spirituale di certi uomini. Il funesto elenco viene aggiornato senza soluzione di continuità.
Mentre scriviamo è partito l’ultimo allarme dell’Ong Sea Watch3 che ha tratto in salvo numerose persone alla deriva su un gommone imbarcante acqua. E come sempre in questi casi si allunga la lista dei dispersi, delle vittime dell’ennesima cronaca di un naufragio annunciato. Donne, bambini, giovani uomini. Le ustioni, le ipotermie, i morsi atroci della fame e della sete. Quelle ferite fisiche e psicologiche che chissà se si riuscirà mai a sanare. Il diritto a un’esistenza decorosa calpestato.
Lampedusa resta un fronte caldissimo: d’estate come d’inverno, in primavera o in autunno. Le strutture di primissima accoglienza rigurgitano di disperati scappati dall’inferno o dal purgatorio. Il loro sbarco è sovente osteggiato, differito, dimenticato per propaganda, “sicurezza interna” o freddi calcoli demografici e geo-politici. Arrivano in scala massiccia dalla Libia, dalla Tunisia, dal resto dell’Africa, dall’Afghanistan riconquistato dai talebani, quelli non intercettati prima dalle guardie costiere. Sognano di raggiungere l’Europa passando per la nostra penisola.
L’anno scorso sono deceduti in 1581 in questo modo, su questa rotta, più di 600 rispetto all’anno precedente. Questo per attenerci ai numeri ufficiali, che non tengono conto delle sciagure fantasma: il Mediterraneo centrale come una grande tomba a mare aperto e il 2022 lo sta confermando pesantemente. Il problema è che non fa più notizia: un dramma schiacciato dal dramma “maggiore”, il cataclisma bellico nel cuore del Vecchio continente, ma non esistono profughi minori.
Cecilia Strada ha suonato la sveglia. Le ha fatto eco Papa Bergoglio, indirizzandosi direttamente a Dio: “Aiutaci a riconoscere da lontano i bisogni di quanti lottano tra le onde del mare, sbattuti sulle rocce di una riva sconosciuta”. Il pontefice ha pregato per loro: “Fa’ che la nostra compassione non si esaurisca in parole vane, ma accenda il falò dell’accoglienza, che fa dimenticare il maltempo, riscalda i cuori e li unisce” e ha paragonato le vicissitudini di San Paolo, accolto a Malta dopo un naufragio come sostengono gli apostoli, alle traversie dei migranti contemporanei. Per questi ultimi il trattamento può essere molto differente: “San Paolo e i suoi compagni di viaggio trovarono ad accoglierli gente pagana di buon cuore, che li trattò con rara umanità, rendendosi conto che avevano bisogno di rifugio e assistenza. Nessuno conosceva i loro nomi, la provenienza o la condizione sociale. Sapevano soltanto una cosa: che avevano bisogno di aiuto. Non c’era tempo per le discussioni, i giudizi e le analisi. Era il momento di prestare soccorso”.
Ma il mare è soprattutto la culla di ogni forma di vita, l’humus della civiltà umana. Qualche settimana fa sono stati svelati i vincitori della prima edizione di un premio organizzato, tra gli altri, dalla commissione oceanografica intergovernativa dell’Unesco. “Donna di mare 2022” è stata consacrata Marta Musso, una ragazza di 23 anni nata a Lerici e cresciuta a Genova, che ha proposto Possea. Tutto ha origine dalla sua passione per il plancton: andare in giro per le spiagge e non solo, a bordo di un vecchio furgone giallo tedesco riadattato in laboratorio, per descrivere ai bambini la vita segreta e minuscola del mare. “Il plancton è la mia passione e la mia specializzazione – ha spiegato Marta – L’idea è partire dal piccolo e dall’invisibile, qualcosa che conosciamo poco ma che in realtà è molto importante per noi e per il nostro pianeta, per raccontare il mare come grande sistema”.
Apologia del plancton, “sia microalghe che zooplancton, ci sono microanimali che vivono sempre nel plancton e altri invece che sono i ‘cuccioli’ di altri animali come pesci, stelle marine e granchi. Un mondo molto vasto, che produce il 50% dell’ossigeno che respiriamo”. Al premio hanno partecipato molte giovani donne, forti di iniziative innovative per la tutela marina. Ora la vincitrice potrà concretizzare il suo progetto, grazie a un programma di mentorship guidato da Francesca Santoro, la promotrice italiana del cosiddetto “Decennio del Mare”, varato l’anno scorso proprio dall’Unesco.
Il capolinea è fissato al 2030, entro quella data bisognerà mettere in campo azioni tangibili di protezione e rinascita dell’universo liquido blu con un unico grande network, un fronte comune che unisca scienziati, cittadini, imprese e istituzioni: connessioni di ricerca, educazione e informazione, lotta al cambiamento climatico e per il ripristino della biodiversità, degli ecosistemi di sotto. Cavalcare il vento, invertire la rotta per un futuro sostenibile. L’obiettivo è un mondo più sano e più pacifico, che ripudi anche le ecatombi di mare. Perché non si può morire per inseguire un avvenire migliore, la dignità e la libertà non andrebbero mai sommerse. Un’onda alla volta, per l’oceano di domani.