“La Russia può aumentare il consumo di petrolio, gas e carbone sul mercato interno e aumentare le forniture in altre parti del mondo”. Lo ha detto oggi il presidente russo Vladimir Putin. Se è difficile capire come la Russia possa aumentare i consumi interni mentre va incontro ad una recessione che potrebbe ridurre il Prodotto interno lordo di oltre il 10%, più realistica è la possibilità di accrescere l’export. Soprattutto finché l’Europa continua a comprare gas e petrolio esattamente come prima. Certo è che su gas e petrolio russo è iniziato un “grande gioco” internazionale fatto di riposizionamenti, mimetismo e opportunismo. Molto accade in Asia con Cina e India che con il loro specifico sono in grado di determinare l’esito della partita.
Le mosse di Pechino sono state sinora piuttosto ambigue. Il governo ha invitato i suoi colossi energetici a non esagerare con gli appetiti per gli idrocarburi russi. Intanto però lavora al pagamento delle forniture di Mosca in yuan (e non più in euro), sigla accordi per il raddoppio del gasdotto Power of Siberia che attualmente ha una capacità relativamente modesta, 10 miliardi di metri cubi, tanto quanto il nostro Tap. Secondo quanto scrive l’agenzia Reuters, il maggior gruppo petrolifero cinese Cnooc starebbe inoltre per abbandonare le sue attività in Gran Bretagna, Stati Uniti e Canada. Stando a Reuters le attività Cnooc, che includono partecipazioni in importanti giacimenti nel Mare del Nord, nel Golfo del Messico e grandi progetti canadesi di sabbie bituminose, producono circa 220mila barili di petrolio equivalente al giorno. Un modo per non incorrere in sanzioni continuando a fare affari con Mosca. Non un bel segnale per l’Occidente. Dirottare il petrolio è più facile che spostare il gas, più vincolato alle condotte. Tuttavia i carichi via nave di Gnl russo con consegna a maggio sono già sold out, finiranno tutti in Asia, non solo Cina e India ma anche Corea del Sud, Indonesia e Giappone.
Lunedì scorso il presidente statunitense Joe Biden ha tirato le orecchie all’India. “Biden ha offerto all’India sostegno energetico nel caso decida di ridurre le importazioni di energia dalla Russia”, ha detto la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki. “Le importazioni di energia non violano le nostre sanzioni, ogni Paese valuta per contro proprio. Detto ciò ci aspettiamo che tutti rispettino le misure contro la Russia”, ha aggiunto la portavoce. Un modo diplomatico di Washington per dire a Nuova Delhi che buttarsi sul petrolio e gli altri idrocarburi di Mosca non è strategia gradita. Già nelle scorse settimane Biden aveva invitato l’India a valutare le ricadute di lungo termine delle sue scelte.
Ieri l’Indian Oil Corp, principale gruppo di raffinazione indiano, ha escluso alcune qualità di petrolio dai suoi prossimi ordini. Tra queste anche “Urals” uno dei tipi di greggio estratti in Russia. Un piccolo segnale ma è indubbio che in quest’ultimo mesi l’India, terzo importatore di greggio al mondo, abbia rafforzato i suoi rapporti energetici con Mosca. Dall’inizio della guerra il paese asiatico ha prenotato 16 milioni di barili di petrolio russo. La principale raffineria del paese Bharat Petroleum Corp ha in consegna a maggio 2 milioni di barili di “Urals”. Chi glielo ha venduto? Trafigura, colosso internazionale del trading di commodities con radici francesi, che sta movimentando carichi russi in mezzo mondo. Dal canto suo India oil corp ha comprato lo scorso 23 marzo 3 milioni di barili di Mosca da Vitol, altro grande operatore internazionale. Un altro milione di barili finirà alla Mangalore refinery.
Gli ordini non arrivano comunque solo dall’Asia. In Europa non è in vigore al momento alcun bando sul greggio russo. In Italia la raffineria siciliana Isab, controllata dalla russa Lukoil tramite la svizzera Litasco, continua ad utilizzare petrolio russo. Il fossile russo finisce anche nella raffineria Miro, una delle più grandi della Germania, dove rappresenta il 14% delle consegne. Usano petrolio russo le raffinerie del gruppo ungherese Mol che si trovano anche in Slovacchia e Croazia. E ancora tra i clienti di Mosca restano la tedesca Pck Schwedt, la polacca Pkn, la raffineria olandese della statunitense Exxon Mobil. Nel complesso, se non interverranno nuove e più severe sanzioni, le prospettive per la Russia sono tutt’altro che fosche. Anche grazie all’aumento delle quotazioni di gas e petrolio, secondo i calcoli di Bloomberg Mosca dovrebbe incassare quest’anno 100 miliardi di dollari in più del 2021 dal suo export energetico.