Un cassintegrato di sé stesso, un ex avvocato sotto processo per esercizio abusivo della professione, un ex consigliere regionale. Nell’affare per la nascita dello stabilimento Twiga a Fasano, sul litorale di Brindisi, la corte dei soci di Flavio Briatore è variopinta. Da Luigi Dagostino a Giovanni Minelli fino a Tato Greco, c’è una varietà di storie, professionali e non solo. La più strana è quella di Luigi Dagostino, non solo per le condanne riportate in diversi procedimenti penali. A lui, infatti, sono riconducibili le quote di Maria Emanuella Piccolo, sua ex moglie, nella “Vittoria srl Investments & Consulting”, società che sta lavorando per l’apertura dello stabilimento di lusso entro la prossima estate e ha ottenuto l’utilizzo del brand di Briatore. Non solo. Nell’affare è coinvolta come project manager la società “Managemente Re Srl”, che ha come amministratrice unica Angela Luana Dagostino, figlia dell’immobiliarista pugliese.

Il nuovo compagno di viaggio di Briatore, e già socio di Tiziano Renzi con il quale ha condiviso anche un processo e una condanna di primo grado a Firenze, a dicembre 2021 ha incassato gli ammortizzatori sociali devoluti dallo Stato come cassaintegrazione Covid. Ilfattoquotidiano.it è in grado di rivelare, infatti, che un istituto bancario, a proposito del sequestro di un conto corrente di Dagostino per un contenzioso con altri ex soci, ha certificato l’accredito della “CIG (Covid-19)”. Eppure su quel conto c’erano la bellezza di 489mila euro. Non proprio i risparmi di un operaio insomma. Per quale società lavori Dagostino non è chiaro, ma già in passato, nel corso di una indagine della Procura di Milano, era emerso che l’immobiliarista pugliese fosse dipendente della Uno Invest, società di cui la ex moglie Piccolo detiene il 98 per cento delle quote, quindi a lui stesso riconducibile. Dagostino, insomma, è un imprenditore-lavoratore che a causa del Covid si è cassintegrato da solo. Anche la Uno Invest è interessata all’affare Twiga a Fasano, poiché detiene la totalità delle quote della Management Re. Ma c’è di più.

L’amministratore unico della “Vittoria” è Giovanni Minelli, 51enne di Fasano finito a processo con le accuse di esercizio abusivo della professione forense. La Procura di Brindisi, infatti, lo accusa di aver assunto un incarico professionale per la scrittura privata di un atto tra due società “accreditandosi quale avvocato – scrive il pubblico ministero Pierpaolo Montinaro – munito di studio professionale, utilizzando carta intestata ‘Studio Legale Plus Avv. Giovanni Minelli’. All’atto della revoca del mandato ha richiesto una parcella dell’importo di 9mila euro comprensiva di importo maggiorato del 4% a titolo di Cassa Previdenza Avvocati, nonostante – specifica il magistrato – già all’atto di assunzione dell’incarico non fosse più iscritto ad alcun ordine professionale”.

Nella variopinta composizione della società impegnata nella costruzione del lancio del lido a 5stelle, inoltre, figura anche Tato Greco, rampollo di una delle famiglie più note e potenti di Bari (i Matarrese), nonché ex consigliere regionale finito in un’inchiesta sulla sanità pugliese con Gianpi Tarantini: entrambi sono stati assolti perché il fatto non sussiste sia in primo che in secondo grado. Nelle motivazioni della sentenza, la corte d’appello ha confermato l’assoluzione e ha spiegato che le 11mila intercettazioni alla base delle accuse avanzate dalla Procura di Bari nei confronti dell’ex deputato ed ex consigliere regionale pugliese erano utilizzabili, a differenza di quanto era stato stabilito nel primo grado, ma era ormai troppo tardi per rifare il processo dato che i reati si erano nel frattempo prescritti.

Sulla società, sui suoi membri, sulle attività avviate al Comune di Fasano per l’avvio dell’esperienza Twiga, nelle scorse settimane ha acceso i riflettori la Guardia di finanza che, come ha raccontato Repubblica, ha acquisito una serie di documenti dall’ente guidato dal sindaco Francesco Zaccaria, esponente del Partito democratico che a ottobre 2021 è stato riconfermato come primo cittadino. La sua prima elezione risale al 2016 e la nuova amministrazione concede il benestare al progetto per la costruzione di outlet di lusso proprio a Fasano, realizzato ovviamente da Dagostino. Quando la notizia della vittoria elettorale si diffonde, l’allora socio Tiziano Renzi chiama Dagostino: “Solo per farti i complimenti”, dice Renzi senior, che fa riferimento a “quello che è accaduto giù, perché si è visto chiaramente e io sapendo un po’ di cose me lo sono subito immaginato”.

L’argomento, per gli investigatori, è proprio l’elezione a Fasano del sindaco del Pd Zaccaria. E che i rapporti tra Dagostino e Zaccaria fossero ottimi emerge anche da altre telefonate che ilfattoquotidiano.it è in grado di pubblicare. È il 16 settembre 2016, circa un mese dopo l’ok del consiglio comunale al progetto di Dagostino-Renzi. Zaccaria si rapporta con l’imprenditore: gli chiede di essere messo in contatto con una persona vicina a Dagostino che riveste un ruolo importante all’interno di Cassa Depositi e Prestiti. Il motivo? Cercare di accelerare l’iter di un progetto del Comune di Fasano. Sia chiaro: nessunissima ipotesi di reato, solo pubbliche relazioni e la testimonianza dell’esistenza di un rapporto consolidato tra i due. Dagostino non esita: gli manderà il contatto di questa persona dopo che lo avrà sentito lui al telefono.

L’affare outlet, però, alla fine saltò. Anche “per una campagna di stampa avversa” dicono i diretti interessati. Il resto è storia giudiziaria: Dagostino e Renzi vengono condannati per fatture false a Firenze, in un processo che non interessa l’outlet da costruire a Fasano. Contattato da ilfattoquotidiano.it, il sindaco Zaccaria ha confermato di aver conosciuto Dagostino dopo la sua elezione a primo cittadino per via del progetto di apertura dell’outlet The Mall: un progetto, ha specificato Zaccaria, nato con l’amministrazione precedente di centrodestra e portato avanti anche durante i primi anni del suo mandato. Zaccaria ha anche specificato che Dagostino non è tra i finanziatori della sua campagna elettorale e neppure tra coloro che potrebbero aver raccolto consensi per la sua elezione. Di certo, l’imprenditore resta molto attivo a Fasano, come la storia del Twiga dimostra.

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