Insistendo sulla segretezza dell’operazione, che quindi non poteva avere riscontri sul web o sui giornali, la persona che si spacciava come prelato chiedeva ai tanti disoccupati del suo paese e dei paesi vicini di pagare 2500 euro al fine di superare il concorso. Il segreto è stato rotto da alcuni truffati che hanno parlato di questo concorso ad alcuni amici militari, i quali hanno smentito tutto, facendo partire la denuncia
L’idea sarà venuta vedendo i film di Totò, tra cui celebre Tototruffa, durante il lockdown del 2020. Ma forse nemmeno lui, il finto “vescovo cardinale di Monreale” avrebbe pensato di poter riuscire a truffare così tante persone. Eppure Luciano Montemurro, 63 anni, di Favara, sarebbe riuscito – secondo il pubblico ministero che ne ha chiesto il rinvio a giudizio – a gabbare almeno 150 persone vendendo un sicuro posto di lavoro in una presunta base Nato che sarebbe stata costruita nei pressi di Punta Bianca, ad Agrigento.
Insistendo sulla segretezza dell’operazione, che quindi non poteva avere riscontri sul web o sui giornali, la persona che si spacciava come vescovo di Monreale (questo invece potenzialmente verificabile) chiedeva ai tanti disoccupati del suo paese e dei paesi vicini di pagare 2500 euro al fine di superare il concorso che permetteva di lavorare nella presunta base Nato, dove, evidentemente, avrebbero lavorato anche persone che non hanno fatto il militare. Un marchingegno ben studiato che faceva leva sia sulla segretezza, sia sull’illegalità dell’accordo.
Il sedicente vescovo – che niente a che fare invece con la Chiesa ed è ritenuto a capo della presunta associazione a delinquere – diceva di essere in stretto contatto con il segretario generale della Difesa, il generale Luciano Portolano, agrigentino totalmente estraneo alle indagini e pronto a costituirsi parte civile, che sarebbe stato – secondo quanto raccontato dai truffati – il futuro comandante della fantomatica base militare Nato di Punta Bianca. Accanto a Montemurro c’erano altre due persone, originarie di Canicattì, che si occupavano di reclutare persone e aziende che volevano lavorare e che erano disposte a pagare migliaia di euro per raggiungere l’obiettivo.
Il segreto è stato rotto da alcuni truffati che hanno parlato di questo concorso ad alcuni amici militari, i quali hanno smentito tutto, facendo partire la denuncia. La disoccupazione e la crisi dovuta alla pandemia hanno convinto molti a fidarsi dei tre per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio per associazione a delinquere, truffa e sostituzione di persona. Secondo gli inquirenti sono più di 150 persone le truffate trovate il libro mastro dell’associazione, dove venivano annotati i nomi e soldi. Molti però potrebbero aver paura a denunciare quanto fatto poiché bisognerebbe accettare di aver pagato per superare il presunto concorso.
L’udienza preliminare, infatti, è stata rinviata perché in molti chiedono adesso di costituirsi parte civile. Dietro l’opera di convinzione c’era un sistema ben strutturato: oltre ai finti nomi e alle conoscenze millantate dal presunto vescovo, venivano stampati finti tesserini Nato e mappe della ipotetica base che venivano mostrate in riunioni segretissime, dove venivano portati plichi dell’Esercito chiusi con timbri in ceralacca e finti contratti in carta intestata fatti firmare dai disoccupati in cerca di lavoro. La fiducia era sugellata da un sistema piramidale che permetteva alle stesse persone che avevano pagato la somma per superare il concorso, di assoldare altri disoccupati in cerca di lavoro e disposti a pagare pur di trovare una occupazione.